venerdì 30 maggio 2014

A volte basta un po' di SALIVA...


E parto da lontano, da quando da vicino a Cagliari sono andato in provincia di Sassari, in un paese che di nome fa SORSO anche se la zona vien chiamata PLATAMONA a ridosso delle dune che tengono al suo posto il mare che spesso vorrebbe riprendersi il suo spazio litigando con la pineta intanto cresciuta.

E' chiaro che il miniappartamento è rinchiuso all'interno di un villaggio di circa 40 anni fa e che oggi non potrebbe essere costruito nello stesso luogo quasi sul mare, tant'è la legge allora consentiva e io mi ci trovo bene, anche se Luglio e Agosto son piuttosto affollati ma restano dieci mesi di pura tranquillità. Però i villaggi hanno un inconveniente, ci sono cancelli in entrata e in uscita e un unico posto per la posta così da poter ricevere notizie consuete dall'ENEL, la RAI, magari anche dal Comune o Equiqualcosa o la Posta o la Banca perché tutti gli altri te li ritrovi o qui o sul telefono più o meno -ino.

Capita allora che mi debbo attrezzare di apposita cassetta e mi affascina una di quelle che imitano le regie poste della mia infanzia e che sembra pure di ghisa e la monto nell'unico buco rasoterra rimasto libero. Passano finalmente le settimane fino a farsi almeno tre mesi e qualcosa arriva, lo vedo in basso che c'è una busta solo che la chiave non apre e la chiave era giusta, c'è lo stesso numero. Pazienza, prendo la cassetta,la metto con i piedi per aria e finalmente la busta viene prelevata là da dove era entrata e risistemo alla meglio con quel che un fanatico pensionato fai da te dotato di un furgoncino ha sempre con sè.

E le cose van bene per mesi finché decido stamattina di sistemare il tutto "più meglio" sostituendo quel misero filo da piantine rachitiche con qualcosa di più robusto, un bel filo rivestito di buccia plastica verde che nessuno potrà più rompere e mi tiro dietro anche la pinza-tenaglia per tagliarlo a misura e via con l'auto per arrivare in zona e sistemare il tutto. E tutto procede, lo smontaggio è completato c'è solo un problema, la pinza non apre le sue robustine ganasce per tagliare il filo e la bomboletta moderna di svitoil è finita e si preannuncia un apri-chiudi troppo faticoso. Poi l'idea che torna dai ricordi lontani quando era abitudine lubrificare le mani callose con la saliva, anzi, lo sputo. E ha funzionato, la saliva nel punto di snodo, poi un po' di apri chiudi via via più veloce e di nuovo saliva e poi ottimale, proprio come serve per tagliare il filo a misura, infilarlo nei buchi dietro in modo che tutto stia in piedi e sia possibile metterla rovesciata e poter prelevare quel che c'è dentro. 

Intanto la radio dell'auto sintonizzata implacabile su RADIO RAI 3 raccontava del Convegno di Trento e dei discorsi solenni e delle ricette altrettanto elevate di gente che forse ne sa meno di me di cacciaviti e bulloni e di cassette e che di economia e soc-ciologia applicate altrettanto, specie di quelle che si raccontano tra loro, DOPO, dopo che il tutto è avvenuto. E ho ripensato alla mia preistorica saliva e alle sue proprietà sbloccanti e lubrificanti annidate nel profondo dei ricordi ricevuti durante le ore di lavoro in campagna e nei capanni in quei mesi estivi di quando lasciavo Trieste e andavo in Romagna da nonni, zii e cugini.

TORNIAMO AI FONDAMENTALI, DECIDIAMO ASSIEME IL TRAGUARDO E CONFIDIAMO NEL FUTURO, LO SPIRITO ANTICO CI ASSISTERA' NEL SOPPORTARE QUEL TANTO DI EGOISMO INEVITABILE PER RIPRENDERE UN CAMMINO CHE GIA' C'E' STATO.

venerdì 23 maggio 2014

gara dura, caro amico

La FRUSTATA arrivò improvvisa e imprevista e la sorpresa fu molto più forte del dolore, eppure avevo fatto tutto come dovuto, tornando quasi sull'aia con il carico di casse di quelle belle pesche gialle e sode, HALE le chiamavano. Tutte ben collocate nelle casse rientrando dal campo di Maduno in quel di San Pospero di Imola, avevo tenuto il passo come prescritto, specie nello scavallamento dell'argine del Santerno proprio dove il fiume si impigrisce e perde tempo in una specie di rotonda che avvolge quasi tutto il podere. Il guaio è che non m'ero accorto che le briglie di sana corda di canapa si erano girate tutto attorno alla coscia della mia gamba gigia di quindicenne cittadino e così appena il somaro provò a girare la testa con un brusco scrollare di collo  per cacciare il moscone che lo disturbava, allora la briglia pensò bene di  ferirgli l'angolo della bocca e così, spaventato, si era buttato al galoppo, galoppo che tra scossoni di casse traballanti si arrestò solo alla fine, quasi all'ingresso del PORTICO. 

Quel portico prospiciente la stalla dove forse cercava solo una sana sorsata d'acqua così da placare in qualche modo lo strappo del morso che lo costringeva all'obbedienza, e io intanto guardavo il segno sanguinante sulla soffice e grassoccia coscia di un ragazzotto di città, per di più seminaristino spretato, e per di più anche rientrato da quella Trieste che da poco più di un anno mi ospitava con i miei.   

Lo so bene che mi pensavano una specie di RIPIEGO e prima avevano provato a collaudarmi per raccogliere le pesche, e di lì tutta una storia perché dovevano avere il giusto grado di maturazione, ma non troppo, e anche di colore mi raccomando, si compra con gli occhi, e nonostante quelli sul campo avessero deciso così, a mio zio Arcangelo, detto Canzì (l'accento deciso sulla "i"), non andava e aveva scosso la testa e lui il mercato lo conosceva bene e sapeva bene come dovevano essere quelle pesche per meritarsi 80 lire al chilo (e 2000 quintali era un bel lavorare e guadagnare). 

E me l'avevano ben suggerito anche quelle toste spose che mi prendevano in giro per i miei sguardi incerti e curiosi che nascevano anche dagli ormoni, quegli ormoni che, a mia insaputa o quasi, lavoravano sodo. Ma sode erano anche loro, così ben coperte dai fazzolettoni per evitare quel caldo colorito da contadine che le avrebbe marcate evidenti andando in città al mercato. In compenso ogni tanto dovevano pur asciugarsi il sudore del sole agostano e il fazzoletto che scendeva anche nello scollo scopriva allora carni sode e ben mobili quando il braccio s'alzava sui rami più alti. E se il colore era protetto, non altrettanto protette le ascelle con quei bei cespugli neri neri che solo anni dopo sarebbero stati proditoriamente sconfitti dalla CERETTA.

Va provata quella carnalità che aleggia intorno, condita dal sole, dal chiacchiericcio irridente e non troppo leggero di donne che sanno quel che significa la fisicità del vivere e ricordano non solo nel pensiero com'è nell'adolescenza l'effetto delle parole sull'ancora sconosciuto e misterioso divenire del crescere.

Già quel crescere... E così ti ritrovavi con dei blocchi muscolari, chiamiamoli così, provocati dall'accrescere imprevisto di parti quasi sconosciute e spesso incontrollate che ti modificano il muoversi tanto che quasi classificherei  come appartenenti a una sindrome da DISTONIA, per fortuna transitoria, così transitoria che in tarda età quasi scompare tanto da non ricordarsela quasi!  




NB: DISTONIA è termine lontano dalle mie conoscenze specifiche e culturali, è stato mediato da varie informazioni, come anche questa.



Questo post fa parte di un gioco di scrittura tra blogger su parole scelte a turno dai partecipanti. Parole e partecipanti li potete trovare sul blog "Verba Ludica", al link:   http://carbonaridellaparola.blogspot.it/