domenica 20 dicembre 2015

Forse la VALERIA era decisamente migliore dell' ICONA

E cominciamo dal BATACLAN, non certo un localino per disperati in fondo il TICKET, biglietto d'ingresso, viaggia attorno ai 40 euro almeno a leggere quanto indicato per uno spettacolo in programma il prossimo gennaio. E non è poi eccessivo per un locale da 1500 posti, in fondo se pieno son solo 90 mila euro.
 
Del resto le abitudini di famiglia dalla primissima adolescenza (almeno a leggere quel che racconta l'aedo romanziere Fabrizio Gatti su l'Espresso) sono all'altezza del suo futuro perché dalla Terza media le sue "vacanze" sono in solitaria grazie all'INPDAP. A sedici anni eccola già lontana da casa con una esperienza scolastica all'estero (6 mesi in fondo non troppo lontano, in Canadà a 100 km dal Quebec), e tutto l'impegno successivo (grazie anche. suppongo, all'impegno del padre e della madre ben piazzati nel mondo dell'insegnare) per non restare appiedata in termini di percorso scolastico.
 
Non voglio svilire il coraggio, l'impegno personale e le qualità  della ragazza, voglio solo dire che gli ALTRI che lasciano l'Italia per andare nel mondo  sono forse meno avvantaggiati e pure vanno anche loro, magari senza permettersi un monolocale da 14 mq a 550 euro un po' periferico a Parigi e quello successivo, in centro, a 800 euro e per fortuna  "bilocale" dotato, scrive sempre l'aedo, di lavatrice e divano, dove, questo sì purtroppo, abiterà da solo il fidanzato.

sabato 1 agosto 2015

Per non dimenticare o, meglio, andare a rileggere il passato...

 
 
Come ogni anno, e ancor più oggi a 35 anni dell'avvenimento, ci saranno cerimonie, manifestazioni e partecipazioni di popolo e di persone, eppure 35 anni sono tanti. Mi vengono in mente i miei figli che allora erano fra gli 11 e i non ancora 15 anni e come loro tanti quasi cinquantenni per i quali è già molto se collegano i titoli di oggi con un po' delle sensazioni di allora.
 
Come e perché o grazie a chi 85 persone sono morte in un unico evento 147 feriti nel corpo e nel sentirsi offeso dalla sensazione di inutilità e di sbalordimento che potesse mai essere accaduto qualcosa di simile. Troppo semplice o troppo facile indicare settori colpevoli, c'era comunque un terreno di coltura adatto, come oggi, nel linguaggio di certi giornali, negli arringamenti più o meno intensi dei tanti TWEET, ormai spesso solo residui di mal digeriti pasti s li si volesse chiamare con il loro nome,
 
Confrontate i numeri dei tanti attentati che quasi quotidianamente leggiamo o sentiamo, non c'è paragone. I numeri di quel giorno a Bologna sembrano numeri dei bombardamenti in anni lontanissimi. Ripensiamoci mentre di nuovo giochiamo alla DISGREGAZIONE del comune sentire, quando commentatori più o meno illustri inneggiano allo scontro o seri nostri rappresentanti (onorevoli o senatori non importa come non importa se canuti signori o ragazzotti  cresciuti troppo in fretta e inutilmente) si abbandonano alle trivialità utili giusto per qualche secondo di TG.
 
CORAGGIO ITALIA, probabilmente  il PEGGIO deve ancora accadere...


sabato 18 luglio 2015

SONO 70 ANNI... un caldo così...



 
In effetti 70 anni sono tanti, ma se tu sei quasi a 80  ti vien spontaneo pensare com'eri e com'era, 70 anni fa... anche perché non ricordi drammi di 70 anni fa, diversi dai ricordi di guerra con relativi regolamenti di conti specie in quella Emilia-Romagna vissuta vicino alla linea gotica.

Giusto in quel periodo io ero ospite di un collegio a Villa San Martino di Lugo, un luogo che raccoglieva ragazzi di età varia dai 7/8 fino a oltre 20 e dove io ero arrivato da Ravenna grazie agli accordi fra mia madre e il comandante partigiano di Ravenna. Si erano conosciuti a fine aprile 1945 dopo che mio padre, unico sopravvissuto, si era consegnato al comando di Ravenna, nostra residenza, dopo i quasi 3 anni al seguito del suo DUCE in quel di BUSSOLENGO e dintorni. Mai capito da dove fossero nati questi incontri, forse avevano pesato quelle decine di ravennati in divisa da MVSN prelevati a Nord e mai arrivati a casa loro.  Ma questa è storia vecchia.

Dal collegio ogni tanto (due-tre mesi) arrivava con il biroccino e la solita sfiatata cavalla mio nonno FITA, anzi ormai FITONA (Giuseppe, maggiorato per l'abbondante pancia e la non eccessiva statura) e piano piano arrivavamo a San Prospero di Imola luogo dove viveva la tribù CIARAVAL (di cognome GEMINIANI), nonno, prozio, 5 figli con relativi mogli e nipoti divisi in due poderi, partiti come mezzadri a fine '800 e ora proprietari. Erano (e ancor oggi sono, anche se spartite o vendute) 120/130 tornature di buona terra (poco più di 25 ettari) a frumento, erba spagna, vigneto e frutteto.

E così io potevo vivere una decina di giorni da "libero", lavorando, litigando e giocando con i cugini, anche quelli più grandi. Nell' intanto era morto il prozio GIANO' (Giovanni) e allora mi avevano messo a dormire nel suo stanzino con la finestra che guardava verso Nord (in "zò", verso la bassa) proprio sopra la buca del letame. Comunque un "piccolo" problema c'era, i miei cugini più grandi mi raccontavano che ogni tanto i morti tornavano nelle loro stanze e io la sera aspettavo di sentire il passo pesante di GIANO' su per la scala che dall'antistalla portava al primo piano con le cinque stanze, prive di servizi ma con le giuste dotazioni di pitali.

Poi vincevano il sonno e le emozioni della giornata.

Già, la giornata... Attorno alle 4 e mezza (non c'era ora legale, però baluginava già l'alba) si alzava MINGHI' (Domenico, classe 1907, alpino, tornato da poco dall'aver spezzato le reni alla Grecia, era sopravvissuto al ritorno attraverso la Croazia ed era stato dimesso da militare per l'età) per accudire la stalla. Era impossibile non sentirlo mentre scioglieva le varie coppie di vacche per l'abbeverata, riforniva  la posta di fieno, eliminava i residui della digestione avviandoli verso la buca di raccolta, strigliava per bene ognuna di loro, aveva l'abituale diverbio con la "vacca mora". Già, i bovini sono come miopi e così l'umano appare più grande di loro e confuso poi ogni tanto qualche vacca dicono che ha come un difetto di vista e ci vede così come siamo (e MINGHI' arrivava al pelo alla statura di leva) e allora tende a cozzare, prendere cioè a cornate, e mio zio si sfogava con il manico del forcale, così si sentivano i colpi sul dorso della vacca e la litania delle "madonne", le bestemmie che non possono non condire un inizio di giornata normale.

Alle 5 e mezzo toccava a mia nonna, JUSFINA (Giuseppina), silenzioso sergente che passava in rivista il da fare (alla sera non si rigovernava, per tradizione era roba del giorno dopo, la nuora di turno settimanale aveva già dato), poi usciva a cercare la gallina giusta da mettere in tavola dopo aver prima inondato di granturco l'aia con il suo COCHI COCHI COOOCHI e il becchettare sereno delle chiocce sicure di non essere incluse fra le selezionabili, almeno finché producevano uova a sufficienza (il gallo aveva già fatto il suo dovere di maschio ed era libero).

Prima delle 6 scendevano tutti, prima l'ARZDORA (quella di turno) poi gli altri, una risciacquata al viso e fuori a preparare attrezzi e organizzare la giornata. Alle 7 e 30 in casa di nuovo per la colazione.

L'Ernesto apriva la madia, tagliava le fette belle spesse di prosciutto, il fuoco era già stato acceso, le braci pronte e le pagnotte pure ed era un cuocere il prosciutto sulle braci, prenderlo, spremerlo fra le pagnotte tagliate a mezzo e, una volta cotto, spostarsi a tavola integrando il tutto con vino (quello peggiore, il buono era venduto) opportunamente annacquato (mia nonna operava il giusto dosaggio). Niente caffè, sconosciuto, e neppure latte (per i bambini e gli ammalati) e subito fuori per i lavori di stagione assieme alle donne non di turno in casa.

Quella di turno, assieme al caporale nonna, si occupava delle pulizie e del  pranzo (le altre avevano già rassettato la loro stanza e sistemato i pitali).

E così le "terribili" e afose giornate di 70 anni fa venivano affrontate con vestiti non certo estivi, MINGHI' addirittura portava i mutandoni di lana a gamba lunga anche d'estate per i residui di artrosi delle campagne di guerra. Le mie zie avevano calze e vestiti lunghi (per tenere lontana la polvere e i residui vegetali irritanti), ampi fazzoletti a coprire i capelli o i grandi cappelli di paglia. Per le donne era importante, per non assumere l'inevitabile colore del viso cotto dal sole da "contadine"...

Poi il rientro con il rintocchi del mezzogiorno, i risciacqui prima di andare a tavola, un pranzo leggero di solito brodo con pasta (la pastasciutta di rado, quasi sempre solo di domenica) e verdura con qualche piatto con fette di salume o, raramente, con quel formaggio quasi liquido fatto in casa, una specie di stracchino. E subito dopo a letto, si riprendeva alle 15 fino alle 18.

Nessuno lagnava, nessuno si lamentava, niente drammi radiofonici e televisivi. Gli uffici e le case non avevano l'aria condizionata eppure riuscivano a lavorare lo stesso, mio padre lavorava di piccone e badile sotto il sole sugli asfalti triestini. Era l'epoca di quello che chiameranno il miracolo economico.

Non è che le LAGNE sono il giusto apporto della DEMOCRAZIA?
 


venerdì 5 giugno 2015

ROMA? ma che volete pretendere..,

Conobbi Roma nel 1950, Anno Santo, piccolo seminarista di terza media. Piccolo proprio, tanto che nelle uscite eravamo i primi due della fila, io e il Tozzi, tutti e due magri, piccoli e zoppi per motivi diversi. Io ero il residuo rimasto in Romagna, a Imola, con questa strana voglia di fare il prete (i miei erano ormai emigrati a Trieste, là dove il nonno era arrivato nella soglia fra '800 e '900 e vivevano i fratelli Hugo e Giordano - Bruno era mio padre - la nonna Teresa e sua figlia Eugenia, di evidente origine ausburgica). Tozzi veniva da un qualche paese dell'Appennino fra Cesena e Forlì, almeno mi pare.
 
Fu un viaggio avventuroso in pullmann, non avevo mai viaggiato su e giù per i monti, noi più piccoli eravamo dietro nell'ultimo sedile unico e nei tornanti ci pareva di stare sospesi sul burrone. Mi sa che per risparmiare una notte dobbiamo esser partiti la sera, allora non c'eran certo autostrade. Facemmo il passo dei Mandrioli, con il rituale momento di sosta per i mal di stomaco
e le rituali necessità fisiologiche svolte in assoluta naturalità ambientale. Quasi assenti luci all'orizzonte, le case rurali montane raramente aveva la luce elettrica più spesso lumi a carburo molto luminosi e vagamenti azzurrini.
 
Il viaggio fu lunghissimo, era già APRILE, arrivammo nella prima alba in un convento di suore in un grande camerone. Ci rassettammo e, poi, via di corsa verso San Pietro, parcheggio del pullman e di gran carriera per trovare un posto importante, per vedere LUI, il SANTO PADRE PIO XII. E passò proprio a un paio di metri da noi e, siccome ero piccolo e magro ero proprio
sgusciato in prima fila quasi a toccarlo!
  
Poi naturalmente entrammo in San Pietro e su fino in cima, le mie gambe c'erano ancora tutte e due e la voglia di vedere non trovava intralci. Tornando giù il miracolo della Cappella Sistina e il fascino dei colonnati della piazza, la marea di gente, il correre qua e là sapendo dov'era il pullman per il ritorno al convento che ci ospitava, una qualche merenda e via verso Imola. Vedrò anni dopo le foto di mio padre militare di leva sugli spalti di Castel Gandolfo assieme ai suoi amici con le palle di pietra in mano sorridente e ... fiero.
 
Poi decisi sfrontatamente di dimettermi per divergenze disciplinari e storie di spioni e a Luglio del 1950 ero a Trieste dai miei.
 
Roma non fu più nei miei pensieri fino al 1966, quando mi fecero capire che saltava il "mio" concorso per il ruolo alla facoltà di Chimica Industriale di Bologna dopo 4 anni post-laurea ed era proprio l'ultimo giorno per fare domanda per gli esami di abilitazione all'insegnamento. Già perché intanto mi ero sposato nel 1963 e c'era uno scalpitante frugoletto di oltre un anno e bisognava pensare al futuro. Roma quindi diventava una meta possibile come sede d'esame per la cattedra di CHIMICA, e così ebbi di nuovo occasione di arrivarci.  L'abilitazione richiedeva una serie d'esami successivi, prima lo scritto, poi i laboratori (per chi era stati idoneo) e, sempre per gli idonei l'orale finale con un voto definitivo non inferiore a 53/75. In questo modo si poteva aspirare all'incarico triennale, come in effetti accadde.
 
Per inciso allo scritto vi fu una selezione fortissima, dei quasi 250 concorrenti passammo al secondo round in meno di 30, non sono mai riuscito a capire come mai. Molti avevano anche 50 anni, insegnavano da tanto, il tema era, almeno per me, banalissimo e forse giocò a mio favore essere vissuto in un ambiente culturalmente più aggiornato, aver fatto da schiavo d'appoggio nei corsi di laboratorio, avere scritto tesi di laurea per conto terzi (per arrotondare la borsa di studio e pagare affitto, omogeneizzati e le rate della vecchissima 1100 con una stranissima frizione automatica per impediti). Buffa quell'auto, aveva una specie di dispositivo idraulico che azionava la frizione, solo che ogni tanto saliva una bolla d'aria a bloccarne il funzionamento, io scendevo veloce, sollevavo il cofano, sbullonavo un dado, spurgavo l'aria, riattivavo il tutto e, fra il clacson dei bloccati, ripartivo.
 
Fu così che conobbi l'altra Roma, dove ero andato in treno, trovato una stanza per alcuni giorni dalle parti di piazza Vittorio, non ricordo più dove fosse la sede d'esame, ma ricordo benissimo i rifiuti per le strade, appena sbirciavi sulle laterali camminando a piedi, il traffico già allora disordinato, i parcheggi a cazzo di cane e le telefonate a cui rispondeva il gestore del luogo dove mi ero fermato per lo spuntino serale. Tranquillamente, ad alta voce, si sprecavano i commendatore, dottore, ragioniere etc. che ricevevano rassicurazioni sulle loro pratiche in corso, pratiche di soldi, contratti, relazione di contatti con riferimenti a cariche e nomi a me ignoti, e l'indifferenza dei commensali a questi discorsi evidentemente abituali, compresi i riferimenti ai saldi economici "tranquillo, dot rag cav, come sempre, non si preoccupi, a risultato raggiunto". 
 
E' evidente che ero io l'ingenuo, in fondo stavo vivendo a Bologna qualcosa di simile  per una COOP bianca che costruiva e le trattative in corso con il Comune di Bologna. Lo Stato non finanziava l'edilizia economica a BO, e BO non rilasciava le licenze di costruzione alle COOP bianche o rosa, comunque non rosse... Poi tutto dopo qualche anno si sbloccò e anch'io potevo aspirare a diventare PADRONE, dopo il mutuo, la cessione del quinto, le cambiali firmate sulla fiducia tanto alla peggio non ce l'avrei fatta e tornavo in affitto. E poi ce la feci e per fortuna lasciai tutto alla madre dei miei, e suoi, figli e furono salve quelle belle stanze dalle inadempienze e follie del sottoscritto.
 
E questa immagine fu riconfermata in altre occasioni, come l'incontro fra il mio capo (che si occupava di forniture ospedaliere settore bagni fotografici RX e mio secondo o terzo lavoro) e rispettabili signori siciliani (non mafiosi) boss del settore fotografico di casa loro. E fu proprio in Trastevere che riuscimmo a concludere un patto di non belligeranza commerciale con garanzia fra bolognesi e siciliani. Lo devo aver raccontato ancora, fra i commensali Burt Lancaster in tenuta jeans e camicia e la Paola Borboni con l'amore del momento...
 
Poi da chimico fui più volte interpellato per incontrare supposti diplomatici interessati  a trattative per aziende e avventure commerciali con vantate amicizie e la presenza di rottami della politica fornitori di preferenze. Non ne uscì mai nulla di buono, mi stancai, magari deluso, però tutti questi avevano uffici in centro, vantavano amicizie, davano l'impressione iniziale di tranquillità economica. Forse sono stato sfortunato nelle frequentazioni, come per caso tutti avevano una tendenza politica piuttosto destrorsa e non berlusconiana ma dai discorsi fra loro tutto era normale attività economica e possibilità di intervenire in modo efficace. 
 
CONCLUDENDO? grazie NO...

domenica 17 maggio 2015

E con il SABATO il rito del caffè...

 
 
 
Un sabato c'era l'acconto e il sabato successivo c'era il saldo con dentro tutti gli straordinari, così due volte al mese mio padre provvedeva a prepararsi la miscela quasi BREVETTATA. Già perché la spesa richiedeva qualche acquisto meno solito, ma fondamentale per lui, ché normalmente alle 5 e 30 si alzava per prepararsi con calma, con le rituali abluzioni e la rituale colazione e la preparazione del pranzo che si portava dietro. Infatti non  si poteva mai sapere dove doveva andare a scavare o colmare buche per consentire ai tecnici della municipalizzata triestina ACEGAT di procedere alla manutenzione di tutto ciò che era collegato ad Acqua Gas Elettricità e Tram.

Lui e gli altri manovali dipendevano dall'aziendina che aveva vinto l'appalto e, se erano "bravi", l'appaltante li teneva, altrimenti perdevano il posto. Mica erano LAVORATORI protetti, figuriamoci se il Sindacato si preoccupava di loro a meno che non ci fosse SCIOPERO GENERALE e allora sì che arrivava il Sindacato per compensare e attutire le lagne delle mogli che con la trattenuta si scombinava tutto il bilancio famigliare.
 
Già il caffè quotidiano era un rito, una cucumona da due litri  piena  d'acqua fino a meno di tre quarti, portata a bollore sul gas e l'aggiunta di tre belle cucchiaiate di miscela. Mescolare poi per un po' di minuti così da evitare che lo schiumone tracimasse e infine l'aggiunta, a colmo, di acqua fredda e dopo un quarto d'ora di pace così finalmente la sbicia era pronta da bere con l'aggiunta di una robusta pagnotta asciutta.
 
Ma due volte al mese bisognava preparare la miscela: 1 chilo di caffè in grani da macinare (altri vicini partivano dal caffè ancora verde da tostare e l'odore riempiva tutto lo spazio chiuso dai 6 condomini, caffè che proveniva spesso da extra dogana), 500 grammi di orzo tostato e macinato e due scatole di prezioso FRANK, il tutto mescolato sul marmo del tavolo di cucina con preziosa attenzione.
 
 
 

 
Certo verrà da sorridere a quanti alla mattina non possono evitare di passare dal bar, per mio padre era già un qualcosa di tutto suo, senza sofferenze o invidie, poi ci salutava erano ormai le sette, ora che tutti fossimo in piedi.

LUI usciva e con borsone a spalla con scarponi, maglia e calzini di ricambio (picconare crea sudore), la GAVETTA con il pranzo, scarpinava per arrivare al deposito da dove avrebbe saputo cosa regalava la giornata, forse anche qualche ORA DI STRAORDINARIO... (c'è sempre qualche imprevisto con due figli ormai adolescenti).
 
CIAO BABBO BRUNO...

martedì 5 maggio 2015

MA VO'... CHI SIIV ? ma voi chi siete?

Giusto ieri, lunedì 4 maggio, sono andato dalla medichessa per fare il solito rifornimento di pastiglie e compresse che mi accompagnano da più di qualche anno: il PLAUNAC 10 per convincere la pressione a non alzarsi troppo e l'ALFUSOZINA per rassicurarmi che sì forse la prostata aumenta di dimensioni ma noi ogni giorno gli spariamo contro, così impara e se ne sta buona come tutto da quelle parti lì, che ormai non è più tempo di giochi.
 
Esaurito il rito delle due ricette replicate per durare due mesi ho voluto arrischiare un po' di domande più o meno pertinenti e in questi casi si preferisce prendere i discorsi alla lontana magari parlando di aerofagie e poi flatulenze (come si è imbarazzati nel far presente quel che padre Dante risorse brillantemente con ed elli avea del cul fatto trombetta) poi si arriva al dunque, quel dunque che è il vero terrore dell'invecchiare.
 
Già, in fondo sei vecchio ma non come credevi a 15/20 anni guardando quelli con 30/40 anni di più (80 anni, circa, quelli che ho, all'epoca neppure li ritenevi possibile) e ogni caduta di memoria, ogni incespicamento su un nome, diventano dramma, com'era successo appena prima nella sala antistante la sacra porta dell'ambulatorio quando cercavo di ricordare il luogo di partenza del traghetto, quel Golfo Aranci che dalla sera al mattino diventa Livorno. Non mi riusciva proprio e siccome ero a Porto Torres  (da dove si va ovunque, magari Spagna o, proprio volendo, Genova) a nessuno dei presenti veniva in mente di ché volessi parlare. E presi coraggio e quella, tranquilla, ma quanti anni ha? Già e io che credevo che i miei pressoché 80 fossero stampigliati e marchiati a fuoco sul viso, le mani e le gambe. E invece no! E di ché si preoccupa, è normale, non ne faccia un dramma però visto che insiste mi riporti il dato sull'esente ché quello che ho io va aggiornato e la spedisco dal neurologo, così si mette in pace.
 
Poi in automatico si spostò il discorso sui precedenti in famiglia così mi venne spontaneo confermare che tutti, per parte di madre (mia), eran morti di un "colpo" fra i 70 e gli 80, solo un fratello di mia madre se n'era andato sui 70 per un classico tumore, da "chimica", alla vescica. Già Ernesto era quello che irrorava i pesticidi su peri, meli, uva etc etc etce ne aveva pagato le conseguenze... Ma e sua MADRE? gIà MIA MADRE... Me lo ricordo bene quel giorno, ero andato a trovarla, lo facevo di rado solo un po' di volte all'anno perché per lei, mia madre, c'era sempre qualcosa che non andava bene di me verso mia moglie (da tempo giuridicamente ormai ex), sui secondi e terzi lavori e per come vestivo (sembri un barbone), mangiavo (possibile che non trovi il tempo di stare normale a tavola) e poi ormai ero diventato un comunista (proprio per colpa di quella lì che poi t'ha mandato a quel paese). E così mentre aspettavo e vedevo che cincischiava con le carte per il solito suo eterno solitario, improvvisamente alzò gli occhi e... MA VO' CHI SIV? ma Voi chi siete?
 
E con quei suoi occhi più chiari dei miei di un azzurro verde pallidissimo, sotto quei capelli quasi trasparenti un tempo biondorosso, da GAGIA (come si dice in quella parte di Romagna) frutto e responsabilità di qualche antenata amata o violata da qualche barbaro arrivato dalla via Emilia (le vie del DNA sono misteriose e infinite) mi guardava seria, senza incertezze e intanto era arrivato mio fratello e fece di sì con la testa.
 
Già, era una classica demenza senile...
 
Si chiuderà due anni dopo là dove era stata ospitata per evitare di correre rischi, ogni tanto ero andato a trovarla, linda, dolce, assente e trasparente com'ero io, appunto, trasparente ai suoi occhi e alla sua mente. Stetti con LEI tutta la notte prima del funerale e mi arrabbiai perché in quei due anni non avevamo litigato come sempre, perché non era giusto che se ne fosse andata così...
 
E dalla parte di suo padre? che sappia io niente, a 87 anni si ruppe un braccio e in tre mesi si sentì inutile e si lasciò morire, lucido, tranquillo come sempre. Bruno... Un gran buon uomo e poi mi scappò un battuta sul mater semper certa pater nunquam... ricordando quel che mi aveva detto mia madre (avevo circa 15 anni): ricordati che sei settimino se tuo padre te ne parla ...  Già sulla mia cartella clinica del Rizzoli di Bologna che mi conosce praticamente dalla nascita c'era scritto nato prematuro di otto mesi, peso grammi 1640....
 
Ci siam guardati sorridendo io e la dottoressa, tanto non era poi così importante e poi, comunque, sapevo poco dalla parte dei Cremonini a partire da nonno Augusto, nonostante il nome anarchico, fuggito dal Regno a 20 anni e andato a Trieste e poi...
 
E poi sarà quel che sarà. Per adesso ho capito perché non mi ricordavo di Golfo Aranci, perché non mi sembrava un nome da città e, adesso che l'ho capito, me la ricordo benissimo alla faccia di mister HALZHEIMER ...

domenica 19 aprile 2015

18 APRILE 1948. IO C'ERO e non dormivo...

 


Già, io dall'ottobre 1947 ero in forza al Seminario Arcivescovile di Imola dopo i quasi due anni trascorsi nel collegio-ricovero per orfanelli di Villa San Martino di Lugo di Romagna dove ero arrivato grazie a un intrallazzo fra mia madre, orgogliosa moglie del Milite fascista Bruno Cremonini unico sopravvissuto della MVSN di Ravenna (gli altri, quasi un centinaio, erano spariti in un qualche bosco veneto nel viaggio organizzato dai partigiani di Ravenna che da Bussolengo li avrebbero dovuti portare a  casa) e il comandante partigiano della piazza di Ravenna. 

A un certo punto della quinta elementare avevo espresso il desiderio di "farmi prete" e così tutto era stato predisposto anche per l'intervento del parroco di San Prospero d'Imola, frazione dove abitavano nonni e zii paterni   coltivatori diretti, che aveva garantito delle mie qualità, così da poter essere accolto nel Seminario Diocesano di IMOLA (allora gli allievi, dalla prima media fino alla fine del corso dei teologi quindi un  totale 12 anni, erano circa 150). E ci dovevano essere state trattative piuttosto complesse perché, come anni dopo venni a sapere, mia madre aveva sostenuto: MEI MORT CHE PRIT (meglio morto che prete), da testarda laica e fascista e che aveva opinioni molto precise, nonostante la quarta elementare (che però era il massimo di scolarità del posto). Resta il fatto che mi avevano fatto fare tutte le cose in regola, esame d'ammissione alla prima media nella sessione autunnale a LUGO, regolare presentazione del Parroco di San Prospero di Imola (luogo di origine di mia madre e della sua famiglia composta dai nonni Geminiani e i 5 fratelli maschi, una giovanissima sorella, oltre alle relative mogli e figli e il tutto completato dalla tranquillità economica di famiglie di coltivatori diretti con sani principi rispettosi della Chiesa e i necessari annessi e connessi).
 
L'inserimento fisico era stato tranquillo, nonostante la modesta statura, il peso mini (28 chili vestito e con le scarpe) però con corretta divisa nera fatta di pantaloni lunghi, giacca a doppio petto con tutti i bottoni allacciati fino al collo e collo circondato dal rituale cerchio di celluloide, come un prete fatto e finito. Ma la atmosfera doveva essere carica, dal punto di vista politico, visto che, quando uscivamo per la solita passeggiata a Imola e dintorni, marciavamo ritmando ENGELS-MARX, tutti in fila per due con in testa i più piccoli e meno marziali, cioè io e ilTozzi, zoppo anche lui per i postumi di quella che allora si chiamava paralisi infantile.
 
Eravamo una bella coppia anche a giocare il calcio, io ovviamente in porta (tanto non c'era la traversa) e il Tozzi terzino per la sua abilità nell'infilare la sua gamba con il piede stortignato che si infilava avvitandosi in mezzo alle gambe avversarie. Quando si arrivò al gennaio-febbraio 1948 notammo alcuni cambiamenti, i filosofi (i tre anni di classico) e i teologi (4 anni para universitari) non erano quasi mai a cena o cenavano in borghese (dopo le tre medie tutti vestivano con la classica tonaca da prete di allora). Uscivano a girare anche per bar e osterie a fare propaganda anticomunista e democristiana.
E  fu così che si arrivò ai giorni delle elezioni e a livello nazionale vinsero i bravi e ortodossi cittadini e i KATTIVISSIMI ROSSI & KOMUNISTI furono battuti e la bandiera ritrovò i suoi 3 colori, ma non ovunque. Nelle regioni centrosettentrionali il FRONTE DEMOCRATICO POPOLARE TENNE.
 
 

 
 
 

mercoledì 15 aprile 2015

Italo Federico Goidanich, scherzi della memoria...

Succede a volte e non sai neppure perché, giravo a vuoto su Google e più per errore casuale che altro mi colpisce un finale di nome ...danich e poi leggo meglio, Goidanich...
 
Non so perché ma mi richiamano a cominciare da Pier Gabriele Goidanich, nato a Volosca nel 1868 e morto a Bologna nel 1953, istriano. Però non può essere, nel 1953 ero a ancora a Trieste e poi è un glottologo, addirittura un politico. Bocciato.
 
Però c'è anche un Gabriele Goidanich, può essere, è un entomologo, è possibile insegnasse a Botanica a Bologna. Ma ancora non mi convince. Quando ero con Ciusa (Walter) alla facoltà di Economia, Istituto di Merceologia, ogni tanto mi spediva a Botanica per consultare e, se era il caso, fotocopiare degli articoli. Me lo ricordo quell'Istituto: suonavo il campanello, il bidello-custode chiamava l'assistente, che mi portava dall'aiuto e poi andavamo dal Direttore a prendere la chiave della biblioteca, tornavamo dall'aiuto e assieme dall'assistente e con lui dal bidello. E finalmente noi ultimi due entravamo nella biblioteca, il bidello usciva, mi chiudeva a chiave dentro (quando ha finito suoni il campanello...). E infatti suonavo il campanello, riportavamo assieme la chiave secondo scala gerarchica anadata e ritorno e, finalmente, potevo riuscire con gli appunti ricopiati a mano e ritornare in facoltà con i preziosi risultati.
 
No, non poteva essere. Eppure questo Goidanich mi tormentava già da un'ora, me lo sentivo come di casa. Ci avevo parlato. Sommavo Trieste e Bologna, gli anni dovevano essere quelli, insisti  E così insisto fino a un probabile Goidanich, ortopedico. TOMBOLA, Italo Federico Goidanich, 1922-1966, Istituto Ortopedico Rizzoli, 1959. Rileggo ora perché mi avevano mandato da lui, giovanissimo, uno dei pochi al mondo che si occupavano (poi la specializzazione fu mescolata ad altre, leggo sempre ex-post) di strani tumori che si aggrappavano alle muscolature. Anche se il mio non era un tumore, era un guaio legato ai vari guai pre-natali che mi avevano portato a dover decidere di tagliare via un pezzo. Mi aveva visto l'anno prima, ci eravamo dati appuntamento per il giugno 1959. Un colloquio franco diretto, io in quel Rizzoli c'ero stato di casa nei primissimi anni di vita, avevano fatto anche una specie di innesto di un tendine animale perché il cordone ombelicale si era intorcilagliato un po' ovunque, ora amputando (come un pezzo dell'anulare mano destra) ora semplicemente stritolando come appunto sopra la caviglia destra.

Poi le difficoltà di circolazione e ricambio avevano portato alla necessità, forse, di tagliare e i due tre ricoveri all'anno per setticemia generale mi avevano convinto, BASTA! Goidanich, me lo vedo ancora, con tono fraterno, ma sei convinto? vogliamo riprovare? Ti rifaccio una specie di rinnovo plastico, stai a riposo... quanto? tre, sei mesi, un anno... No basta... Dopo? nessun problema posso tagliare comodo sul sano, giusto giusto per la protesi migliore...

Bene, sei convinto? Si... E allora do il via, analisi di routine, ci vediamo in sala operatoria fra tre giorni. Ciao. Avvisa tua madre... A proposito mi dicono dall'amministrazione che è già tutto a posto per la parte finanziaria, interviene la Cassa di Risparmio di Trieste, avverti i tuoi... Già, allora dopo i 18 anni, anche se studenti, la mutua per i figli di operai non c'era...

E così tre giorni dopo in sala operatoria e me lo ricordo, leggevo la lavagnetta della caposala, mancava una cosa, c'era anche il secondo dito del piede sinistro da togliere. era una specie di virgola che si arrabbiava ogni volta che mi mettevo la scarpa, meglio togliere anche quello.

PS: e pensare che pochi anni dopo concludeva lui, il Goidanich, la sua vita, giusto il tempo di scrivere nel 1959 un trattato che si usa ancora e dare il via a un centro scientifico...

giovedì 12 marzo 2015

a proposito di 8 marzo mimose e altri fiori

 
 
 
Volutamente solo adesso, ma in questo mi ha aiutato la mia imbranatura nel gestire il pc (inteso come computer, anche se a volte si comporta proprio come se fosse un "comunista" vero, testardo e convinto che il sol dell'avvenire arrivi solo in unico modo) per lasciar passare i giorni.
 
Proprio nei giorni precedenti alla data classica c'è stato come un rifiuto, da parte di molte femmine,  ad essere omaggiate dal tradizionale mazzetto di mimose perché, motivazione di molte, era un offendere la natura questo depredare le piante, e non solo di mimose. O forse, e mi par più vero, basta con questi simboli tanto dietro non c'è niente e via con i bla bla del caso.
 
Premesso che non ho mai celebrato questa data con mazzolin di fiori, né veri né cantati, a me è sembrata quasi una posizione da VEGANI, per i quali esiste una sola verità, la loro, così assoluta che non c'è spazio per altro. E mentre mi facevo questi ragionamenti scendevo verso l'edicola qui a Cagliari in piazza San Michele, stranamente camminando sul lato destro in discesa, così da attraversare fregandomene del semaforo.
 
Poi, guardando verso l'altro lato, ho notato che stava salendo un "vecchietto", esile, forse più malmesso sulle gambe di me, quasi appoggiandosi al muro delle case e con un mazzolino mini stretto nel pugno omaggio e ricordo di una lunga vita in comune con la destinataria di un affetto, stima, comprensione e, magari a volte, divergenze. Omaggio portato come fosse un trofeo, più di tanti regali, più di tante parole.
 
Vorrei che a volte ci si ricordasse anche di questo, non c'è solo la competizione.  

mercoledì 18 febbraio 2015

JE SUIS LA TRICOTEUSE

 
 
 
o
Ormai è giunto il momento, SABATO ORE 12 saliranno lo scalone del Municipio bolognese e io assieme ad altri/e tricoteuses assisteremo al grande evento che impegnerà per la vita (si usa dire) due simpatici ragazzi maturi ed esperti con contorni di figlie di diversa provenienza. L'obiettivo e lo scopo sono chiarissimi.
 
 
PS: per motivi di traghetto e di forza maggiore per un po' di giorni dovrò trascurare gli amici di FB, rinunciare a logorroiche concioni e consolare gli afflitti (non sono io il protagonista).