giovedì 16 ottobre 2014

micina, come stai nel paradiso felice dei mici...


 
Strano come i ricordi tornino per caso senza che niente apparentemente li avesse cercati, eppure sembra ancora adesso ed è storia di 25, quasi, anni fa. Abitavo allora, uno dei tanti miei traslochi, a Osteria Grande, un cascinale con tante stanze, un capannoncino  per i giochi chimici, un granaio con fienile, Il tutto di quel colore rosso così frequente in Emilia. Non c'ero finito da solo, qualcuno, anzi qualcuna, divideva il mio rifugio dopo l'ennesima avventura pseudoimprenditoriale finita, almeno quella, in parità con l'aggiunta di quel po' che addolcisce le ferite, anche se la nebbia sul futuro, del resto è Val Padana, era spessa spessa. E così non restava che godersi le pause dalle lezioni di chimica sia diurne che serali cercando di fare  il quasi villico.
 
Da poco era scomparso anche il mio cagnone bastardone di tutti i possibili pastori, dal maremmano al teutonico, arrivato una mattina della domenica per la felicità anche dell'altra ospite. Scoppiò un amore fortissimo fra i due tanto che scelse il letto matrimoniale come suo comodo rifugio e dopo un po', per la felicità di tutti, traslocai in un'altra delle tante, e polverose stanze.

La tragedia scoppiò poi, quando la padrona pensò di trasferirsi in città e ogni sera il mio cagnone si faceva irrequieto perché voleva andare alla fermata dell'autobus per un arrivo che però non c'era più e così, dopo, tornavamo a casa e iniziava la cerimonia serale, con Rocki sul seggiolone-trono e la sfilata dei gatti a salutarlo strusciando naso a naso prima di andare in zona pappa. Era un oasi di pace e serenità con ruoli di comando precisi, anche se c'era non "un" ma "il" problema e  rguardava i gatti, tutti rigorosamente libertari e indipendenti il cui numero veniva mantenuto sui 13/15 dal traffico sulla strada che dalla via Emilia va verso monte sulla via San Giorgio. E' chiaro che fra i miao libertari e i fanatici carrozzati con i motori la partita era persa così da mantenere l'equilibrio numerico.
 
Di giorno il mio cagnone mi accompagnava a scuola e se stava tranquillo per ore a far la guardia alla macchina lasciata spalancata nello spazio antistante il grande Aldini-Valeriani, magari cogliendo le coccole di qualche mio studente. Poi arrivò l'imprevisto,  quello della leishmaniosi e l'imbecillità della veterinaria che mi aveva dissuaso da ogni possibile cura e io mi fidai di quella diagnosi contraddetta mesi dopo, ma ormai era tardi, dal veterinario responsabile dell'esito finale, esito che ovviamente arrivò implacabile e mi tormentò per anni il non aver detto a Rocki che lo portavo a morire e proprio mentre faceva uno sforzo enorme per salire in macchina da solo orgoglioso e quasi sorridente, dopo settimane che ormai non si muoveva più, nutrito a biberonate e simili. 
 
Ma dimentichiamo tutto, anche quel sacco buttato lì dall'addetto ai bordi dell'inceneritore con dentro quel muso così felice sempre, per non parlare  di quando tornava dal periodico giro nuziale nei dintorni ogni qualche tre mesi. Tornava dimagrito e stremato ma tornava felice a casa, con me, i gatti, il cibo e i miei studenti.
 
Ma la vita continua e una sera, ormai ero a letto e come sempre leggevo un qualcosa di leggero, e sentii dei miagolii salire dal pianterreno. Era una delle mie micine pluriincrociate minutissima ma, in quel momento, quasi solo pancia che, non sapendo dove andare e cosa fare, aveva deciso di chiederlo a me e io, quasi ruzzolando per le scale, la presi in braccio e la misi al mio fianco nel grande lettone. Così dopo un paio d'ore di ron ron cominciò l'arrivo prima di uno, poi due (e io alla ricerca di cuscini per impedire che quei manigoldi andassero chissà dove) e poi  ancora tre e mi addormentai, ma all'alba eravamo in sette, io, la micia e i suoi 5 che, saziati, dormivano saporitamente. Così, e ovviamente, apprestai acqua cibo e casa aperta per correre a far lezione.

Ormai mi aveva eletto a padre putativo e mi toccò partecipare alla educazione dei piccoli, cercando di placare il suo di lei carattere teutonico (piccola com'era di forma e statura pareva si e no una sorella maggiore), come quando la tribù scoprì una seggiola appoggiata a una finestra aperta al piano terra e che dava direttamente sull'aia, con l'alzatina bassa bassa. La madre allora si piazzò sul davanzale per bloccarli tutti ma io misi una seggiola anche all'esterno e così cominciò la sarabanda: fuori, giro veloce, rientro dentro, seggiola davanzale seggiola fuori e in casa di nuovo. Poi finalmente furono stanchi e affamati e finì lì, per quel giorno. Però avevano imparato il gioco e ogni tanto la truppa si riuniva a miagolare sotto la finestra in attesa delle sedie e del vetro aperto e mamma gatta li lasciava fare, finalmente, riposando.

Poi avvenne l'ovvio, Via San Giorgio non ha perdonato, una sera sentii un miagolìo quasi straziato, stava arrancando su per gli scalini, scesi a prenderla in braccio ma non c'era più possibilità di salvarla ed era venuta a sperare e morire dal suo protettore ed amico e qualcosa di lei c'è ancora sicuramente sotto un tronco di olmo che la protegge in via San Giorgio 1100, Osteria Grande, BOLOGNA.