venerdì 14 novembre 2014

MA TE', A SIT BENITO?

Era il febbraio del 1963, ormai il lungo e avventuroso percorso universitario era quasi alla volata finale. Prima di arrivare alla discussione della TESI a Chimica Industriale di Bologna c'era una serie di prove sia di laboratorio che "orali" e poi il rush finale con proclamazione, consegna del papiro ufficiale in bella pergamena, foto e affettuosità varie di amici parenti e conoscenti. Fu durante questi avvenimenti finali che una bella e prestante ragazza dall'aspetto e dalla voce squillante in perfetto romagnolo di Ravenna esplose con quel  MA TE' A SIT BENITO (per gli italofoni "ma tu sei Benito")?
 
E infatti ero proprio Benito, ci eravamo frequentati nel finale della quarta elementare quando dal Nord finito come poteva solo finire dal Nord repubblichino eravamo tornati a Ravenna da cui eravamo partiti due anni prima per seguire l'amato DUCE fino alla fine. E in fondo andò bene, l'unico a sopravvivere fu mio padre gli altri (qualche decina) furono fermati nel trevigiano. Ma questa è una altra storia. Fu un trimestre finale insolito, anche i banchi erano informali una meravigliosa giovane maestra raccoglieva attorno se dei bambini rintronati, sbandati ma abbastanza scafati abitando in quella che allora era la estrema periferia di Ravenna confinante con i campi. Alla fine fummo tutti promossi, solo che io poi andai in collegio a Villa San Martino di Lugo, poi le medie a Imola in Seminario, il Liceo scientifico a Trieste con la maturità al minimo (a parte storia) e, finalmente l'Università cominciata a Trieste, facoltà di Scienze naturali fisiche chimiche etc con biennio congiunto.
 
La premessa era necessaria perché poi non tutto camminò in modo lineare. Il biennio fu splendido, eravamo una ventina, docenti giovanissimi, laboratorio dal lunedì al venerdì 14.30-19.30 con il buon Ciana burbero ed efficace e il tecnico Coglievina che a fine turno controllava che avessimo spazzato il pavimento, che i reagenti fossero al loro posto e, di quando in quando, suggeriva che il bianco camice pieno di macchie era il caso di lavarlo. Lingua ufficiale? il dialetto triestino così diretto ed efficace che così  finalmente lo imparai (più difficoltà avevano i tre colleghi dei paesi attorno la cui lingua madre ero lo sloveno).
 
Anche i risultati furono decenti, il biennio non faceva media (a Trieste) ai fini del voto di laurea finale e i miei risultati con media 25 (e uno stranissimo 30 in matematica 1) mi ponevano al quarto posto (da sopra). Un solo neo, FISICA 1. C'era lo scritto e lo facevamo tutti assieme, chimici fisici biologi e via elencando. I chimici erano ammessi all'orale con un voto di 8 su 30. E me lo ricordo bene perché si doveva calcolare la velocità di fuga dall'atmosfera terrestre (era il 1957!)  ed evidentemente me l'ero cavata bene visto che mi avevano dato 23 su 30. Poi arrivò l'orale e fu un disastro partendo dal secondo principio della dinamica che io scrissi automaticamente  f = ma. Ma non andava bene e alla fine di un'ora d'esame me ne andai con un ignominioso 12 su 30 con il prof convinto che avessi copiato lo scritto e io rintronato perché quell'esame  era il risultato di uno sgobbo pesantissimo di sei mesi con il pesantissimo Rostagni quasi a memoria.

E forse fu proprio quel "quasi a memoria" il guaio. Un guaio che di solito nasce dalle superiori. Matematica e fisica sono una cattedra unica e inevitabilmente il docente ama o è in sintonia veramente con una sola delle due materie e di solito è la matematica, non fosse altro che a fine corso, specie allora, c'è sempre la prova scritta di matematica. Qualcosa di simile nel corso di scienze con la Chimica nelle mani di un docente di scienze naturali abituato alla filastrocca di famiglie, specie e che della chimica inevitabilmente ti racconta una lunga fila di nomi senza legami, se non di nomenclatura, fra loro.

E fu così che cominciò qualcosa di irreversibile, i nuovi tentativi finirono male e pensai che era il caso di cambiare Facoltà e luogo e finii a Chimica Industriale Bologna (vicino alla famiglia della mia giovanissima zia (ormai sposata e senza figli) che accettò di ospitarmi a patto di un va e vieni tra Bologna e Castelbolognese. Ma l'incubo continuò anche a Bologna con l'ossessione che se non chiudevo gli esami del biennio non potevo dare gli esami del triennio. Così per superare i controlli materni cominciai a scrivere sul LIBRETTO esami mai dati con equilibrismi a base di scritture e successive cancellazioni. Così dei 33 esami totali ne risultavano fatti quasi 20 mentre in effetti non superavano i 14. Poi accadde l'imprevisto, mia madre incontra per caso a Trieste un mio compagno di corso che anche lui si era trasferito a Bologna ma ben diverso da me, facendo lo studente universitario come ancora usava: da GOLIARDO. Mia madre tutta contenta dice: ancora pochi esami ed è finita... E lui per fortuna disse la verità. Dico per fortuna perché fu l'occasione per ripartire a testa bassa (fra l'altro ancora qualche mese e avrei dovuto entrare in INTERNATO (Periodo nel quale si entra in tesi sperimentale, 8/10 ore di laboratorio al giorno. Il top del sogno per uno studente di chimica).

Riaffrontai i due esami di fisica 1 e 2 a Bologna, con il prof Peli che con molti sospiri mi regalò un 20 e un 21 poi fu una volata, i residui 17 esami furono sbrigati in 4 sessioni con risultati nettamente superiori come media rispetto ai precedenti, tanto da riportare il libretto complessivamente onorevole.

E il tutto mi è ritornato in mente per un fatto recente che correva sulla stampa, quello di una ragazza che aveva invitato tutti alla cerimonia di laurea senza che avesse completato il corso di studi e ci fosse già la tavola imbandita con i rituali festeggiamenti (roba da ricchi).

Poi ci fu la borsa di studio, il venire incluso nei gruppi di ricerca e tutta una altra serie di accadimenti che mi portarono, dopo 4 anni a cambiare area di lavoro pur sempre in ambito chimico. 

PS: molti anni dopo, insegnavo fisica in un corso serale per geometri, affrontavo appunto il secondo principio della dinamica e scrivevo il rituale  f = ma e mi fermai a guardare la formula... e si accese la lampadina quasi 20 anni dopo

NATURALMENTE CI VUOLE IL SEGNO DI VETTORE e capii quanta ragione avessero, non basta tener conto dell'intensità, ma bisogna tener conto della direzione e del verso. L'esempio è quello di un carrello fermo su una rotaia, se vuoi muoverlo bisogna spingere nel verso giusto.

giovedì 16 ottobre 2014

micina, come stai nel paradiso felice dei mici...


 
Strano come i ricordi tornino per caso senza che niente apparentemente li avesse cercati, eppure sembra ancora adesso ed è storia di 25, quasi, anni fa. Abitavo allora, uno dei tanti miei traslochi, a Osteria Grande, un cascinale con tante stanze, un capannoncino  per i giochi chimici, un granaio con fienile, Il tutto di quel colore rosso così frequente in Emilia. Non c'ero finito da solo, qualcuno, anzi qualcuna, divideva il mio rifugio dopo l'ennesima avventura pseudoimprenditoriale finita, almeno quella, in parità con l'aggiunta di quel po' che addolcisce le ferite, anche se la nebbia sul futuro, del resto è Val Padana, era spessa spessa. E così non restava che godersi le pause dalle lezioni di chimica sia diurne che serali cercando di fare  il quasi villico.
 
Da poco era scomparso anche il mio cagnone bastardone di tutti i possibili pastori, dal maremmano al teutonico, arrivato una mattina della domenica per la felicità anche dell'altra ospite. Scoppiò un amore fortissimo fra i due tanto che scelse il letto matrimoniale come suo comodo rifugio e dopo un po', per la felicità di tutti, traslocai in un'altra delle tante, e polverose stanze.

La tragedia scoppiò poi, quando la padrona pensò di trasferirsi in città e ogni sera il mio cagnone si faceva irrequieto perché voleva andare alla fermata dell'autobus per un arrivo che però non c'era più e così, dopo, tornavamo a casa e iniziava la cerimonia serale, con Rocki sul seggiolone-trono e la sfilata dei gatti a salutarlo strusciando naso a naso prima di andare in zona pappa. Era un oasi di pace e serenità con ruoli di comando precisi, anche se c'era non "un" ma "il" problema e  rguardava i gatti, tutti rigorosamente libertari e indipendenti il cui numero veniva mantenuto sui 13/15 dal traffico sulla strada che dalla via Emilia va verso monte sulla via San Giorgio. E' chiaro che fra i miao libertari e i fanatici carrozzati con i motori la partita era persa così da mantenere l'equilibrio numerico.
 
Di giorno il mio cagnone mi accompagnava a scuola e se stava tranquillo per ore a far la guardia alla macchina lasciata spalancata nello spazio antistante il grande Aldini-Valeriani, magari cogliendo le coccole di qualche mio studente. Poi arrivò l'imprevisto,  quello della leishmaniosi e l'imbecillità della veterinaria che mi aveva dissuaso da ogni possibile cura e io mi fidai di quella diagnosi contraddetta mesi dopo, ma ormai era tardi, dal veterinario responsabile dell'esito finale, esito che ovviamente arrivò implacabile e mi tormentò per anni il non aver detto a Rocki che lo portavo a morire e proprio mentre faceva uno sforzo enorme per salire in macchina da solo orgoglioso e quasi sorridente, dopo settimane che ormai non si muoveva più, nutrito a biberonate e simili. 
 
Ma dimentichiamo tutto, anche quel sacco buttato lì dall'addetto ai bordi dell'inceneritore con dentro quel muso così felice sempre, per non parlare  di quando tornava dal periodico giro nuziale nei dintorni ogni qualche tre mesi. Tornava dimagrito e stremato ma tornava felice a casa, con me, i gatti, il cibo e i miei studenti.
 
Ma la vita continua e una sera, ormai ero a letto e come sempre leggevo un qualcosa di leggero, e sentii dei miagolii salire dal pianterreno. Era una delle mie micine pluriincrociate minutissima ma, in quel momento, quasi solo pancia che, non sapendo dove andare e cosa fare, aveva deciso di chiederlo a me e io, quasi ruzzolando per le scale, la presi in braccio e la misi al mio fianco nel grande lettone. Così dopo un paio d'ore di ron ron cominciò l'arrivo prima di uno, poi due (e io alla ricerca di cuscini per impedire che quei manigoldi andassero chissà dove) e poi  ancora tre e mi addormentai, ma all'alba eravamo in sette, io, la micia e i suoi 5 che, saziati, dormivano saporitamente. Così, e ovviamente, apprestai acqua cibo e casa aperta per correre a far lezione.

Ormai mi aveva eletto a padre putativo e mi toccò partecipare alla educazione dei piccoli, cercando di placare il suo di lei carattere teutonico (piccola com'era di forma e statura pareva si e no una sorella maggiore), come quando la tribù scoprì una seggiola appoggiata a una finestra aperta al piano terra e che dava direttamente sull'aia, con l'alzatina bassa bassa. La madre allora si piazzò sul davanzale per bloccarli tutti ma io misi una seggiola anche all'esterno e così cominciò la sarabanda: fuori, giro veloce, rientro dentro, seggiola davanzale seggiola fuori e in casa di nuovo. Poi finalmente furono stanchi e affamati e finì lì, per quel giorno. Però avevano imparato il gioco e ogni tanto la truppa si riuniva a miagolare sotto la finestra in attesa delle sedie e del vetro aperto e mamma gatta li lasciava fare, finalmente, riposando.

Poi avvenne l'ovvio, Via San Giorgio non ha perdonato, una sera sentii un miagolìo quasi straziato, stava arrancando su per gli scalini, scesi a prenderla in braccio ma non c'era più possibilità di salvarla ed era venuta a sperare e morire dal suo protettore ed amico e qualcosa di lei c'è ancora sicuramente sotto un tronco di olmo che la protegge in via San Giorgio 1100, Osteria Grande, BOLOGNA. 


martedì 5 agosto 2014

povero NONNO quasi APOLIDE in questo MONDO...


Capita, sì capita quando hai appena attraversato il semaforo all'altezza dell'edicola di piazza San Michele a Cagliari e cammini sul lato sinistro della San Michele verso piazza Sant'Avendrace, poi senti una vocina e una bimbotta tutta pepe e magrolina, capelli ricci e sorrisone, si strappa dalla nonna e corre verso il semaforo gridando NONNOOO... E lo vedi il NONNO ha appena attraversato anche lui dallo stesso semaforo, anche lui con un giornale in mano, e con la testa alzata e un sorrisone tanto... (la nonna, abbandonata con tutti gli anni in vista e le borse piene della spesa, aspetta paziente).
 
E siccome capita nel giorno sbagliato ti senti pure una merda e ti chiedi se ne valeva la pena e se per caso non hai tutto sbagliato nelle tue scelte di vita di emigrante nei sentimenti, nei valori e negli affetti. La vita di oggi in effetti è complicata io nonno in un certo senso lo son già stato quando i miei due figlioli avevan pochi anni e arrivavamo spesso al Lido degli Estensi, nella provincia di Ferrara comune di Comacchio e di lidi ricchi di zanzare e di grandi (allora, anni 1972/80) spazi.
 
Un gruppo di conoscenti ci avevan coinvolti in una specie di coop (Santa Monica) per comprare un villetta, un quarto di villetta 29 mq sotto 29 mq sopra 120 mq giardino sui 2 lati, a lato del cancellotto, un pino e una magnolia. Combinazione uno zio, generoso, mi aveva prestato i soldi per l'anticipo dell'appartamento (stile coop) in Bologna e, siccome non me li chiedevano mai, li misi in quella specie di scommessa. Ed eravamo un bel gruppo di famiglie e con una pattuglia di neonati che erano via via cresciuta sempre più numerosa e io ero spesso al centro dell'interesse. E il motivo c'era, arrivavano in pattuglia mentre io stavo seduto nel giardinetto finché uno di loro, di solito un peperino di bimba, faceva la domanda di rito: ce la fai vedere, e quello da vedere era quello splendido pezzo di plastica che dal ginocchio mi completava la gamba destra.

Era la rottura abituale del ghiaccio, poi si completava il rito, caricavo tutti sulla mia Renault dentro e sopra il tetto nel portabagagli e andavamo a spasso per i lidi pregando il dio degli incoscienti e dei pazzi di non incontrare qualche rarissimo vigile o magari finanziere a caccia di trafugatori di reperti della vicina Spina. A proposito di Spina, all'inizio per ispezionare il territorio volevamo (noi, la sacra famiglia legittima) sapere dov'era questa Spina e così chiedemmo a un ragazzotto indigeno cosa ci fosse a Spina e quello, da bravo comacchiese, rispose c'è la FINANSA!



Con gli occhi di oggi allora ero il NONNO, perché di solito i padri completamente e normalmente abili avevano altro da fare, magari dar calci al pallone in branco. E i nonni che conoscevo io, come quelli materni da grande famiglia (20/24 persone), erano altro, erano quelli che godevano del rispetto della tribù. Mia nonna IUSFINA non giocava con i nipotini o nipotoni, mio nonno Fita ogni tanto mi caricava sul biroccino e andavamo, in  assoluto silenzio, a Imola al mercato e io lo aspettavo per il ritorno nella piazzetta degli UOMINI, in rispettoso silenzio. Poi c'erano i CUGINI e in fondo i giochi eran con loro distribuiti, come data di nascita, fra il 1928 e il 1946 con tutti i vantaggi e i problemi del caso.

Ma poi come si fa ad esser NONNO in una città fatta di asfalto, semafori e simili cose. Si forse ai giardini pubblici, come i GIARDINI MAGHERITA di Bologna, ma da noi i giardini non son roba per qualunque.

O forse è solo una scusa dettata dalla paura di vederli, sti nipotini touschare via veloci su quel coso che ancora non son riuscito a domare.

martedì 22 luglio 2014

Talento Innato

Sorpreso e onorato dell'invito di Raymond e spero che il suo tono reverenziale sia giocoso e così comincio le risposte come da programma.
 
1.- Il LOGO: faccio come PERLA, rimando a quello degli altri perché io non son riuscito a copiarlo e così denuncio da subito la mia nullità tecnica.
 
2.- Per invito di CHI? già detto, RAYMOND per obbligo e riverenza. Circa dieci anni fa quando cominciai a giocare su Splinder (e gli anni non erano ancora 68) uno dei primi commenti fu quello di un ragazzino che meravigliato si complimentò pur chiedendosi come mai uno così vecchio...
 
3.- NOMINARE? Mi rimetto all'elenco di Verba Ludica, non ho esperienza in materia.
 
4.- DOMANDE.
 
a.- QUANDO HAI CAPITO di amare la scrittura? Quando sui 5 anni mia madre mi comprava Il Corriere dei Piccoli e lei con la sua quarta elementare mi abituava a leggere e mi veniva la curiosità di trasmettere parole. Ma non dovevo essere molto "bravo", al liceo Oberdan di Trieste veleggiavo disperatamente fa il cinque scarso e il sei con qualche meno. Periodi pieni di relative da riempire un foglio protocollo. Chiaro conciso concreto nell'esprimermi a voce, illeggibile per iscritto. Migliorai in sindacato fabbricando i volantini, spazio compresso, idee leggibili senza equivoci, efficacia di comunicazione. Proseguii poi collaborando con il giovane capo di una microazienda vagamenda chimica (bagni fotografici per RX) che mi costrinse a mantenere i contatti con clienti e fornitori. La prima lettera commerciale (dovevo sollecitare un pagamento senza però perdere il cliente e ammettere che quei soldi a noi servivano) fu accettata alla tredicesima lettura. Come insegnante non migliorai molto, la trasmissione dei concetti era fondamentalmente orale. A volte mi divertivo a litigare su prosa e poesia, sono stato un fervido sostenitore della PROSA specie quella sarcastica, violenta, diretta che trovavo sui settimanali politici di vario orientamento mia lettura abituale per molti anni.
 
b.- TI ISPIRI ALLA TUA REALTA'? perché ne esistono anche altre, quando si ha l'abitudine a rileggersi dentro, a ruminare parole e scritti, a valutare il senso e il perché delle risposte concrete, delle conseguenze? Se faccio l'agricoltore mi chiedo il perché e il percome il seme è giusto, germoglia, cresce, produce frutti indipendentemente dalle tradizioni, le processioni, le preghiere e i canti. Se proprio devo dire quel che penso LA REALTA' E' POESIA.
 
c.- COMPETIZIONE LETTERARIA FOTOGRAFICA ETC. Nessuna preferenza e non ho mai partecipato mi è capitato che mi spedissero sul palco a dire qualcosa di cui sapevo pochissimo a della gente ai quali importava anche meno. Avvertito per tempo e grazie a un paio d'ore di biblioteca e, adesso, di GOOGLE me la son sempre cavata. Quasi 40 anni di insegnamento tipicamente orale ma basato su testi ed esperimenti ti abituano a collegare, sintetizzare e trasmettere. Il resto, dal mio punto di vista, è spettacolo e ritualità.
 
d.- IN CAMBIO DI UNA INGENTE SOMMA realizzare qualcosa lontanissima dalle proprie corde? Perché no, anche se non molto ingente, in fondo con l'aria che tira è un fatto tecnico e se l'operazione, e il guadagno, hanno un risultato UFFICIALE con le tasse da pagare è pure un aiuto agli altri.
 
e.- AMI SPERIMENTARE? chiederlo a un chimico è come invitarlo a nozze senza obbligo di regalo. Magari cercando di poter vedere qualcosa fatto da altri.
 
f.- QUALCOSA DI INEDITO? Ognuno di noi ha nel cassetto già scritto o pensato molte cose. Nel mio caso molti ricordi di vita vissuta, sinceri, di parte, anche se quasi sempre cresciuto sulla linea di confine con sentimenti, amici, nemici da entrambe le parti. Ormai forse qualche centinaio di pagine e forse monotone, anche se la mia generazione è passata dalla carriola ai viaggi spaziali, ma più un fatto tecnico che evolutivo. Per arrivare all' oggi ci son volute migliaia e migliaia di generazioni, noi direttamente forse ne conosciamo 3 o 4, di altre abbiamo ricordi trasmessi e di tutto il resto reinterpretazioni fisiche o documentali e comunque rielaborate. In effetti parlare di 60/70 anni fa a chi ne ha anche 40 o 50 può essere interessante specie se liberi da condizionamenti extra-personali.
 
GRAZIE RAYMOND, GRAZIE A TUTTI GLI ALTRI CHE HO AVUTO OCCASIONE DI CONOSCERE RISCOPENDO IL PIACERE DI COMUNICARE IN LIBERTA'.

domenica 20 luglio 2014

L' UNITA' quotidiano dei lavoratori.

  
Sia consentito a un miscredente parlare de L'Unità anche perché credo in qualche modo di averne titolo. Certo non ho mai nascosto la mia piccola storia politica, storia politica che comincia molto presto più o meno consapevolmente e la riprendo là dove l'avevo lasciata un qualche post fa, al ritorno da Bussolengo a Ravenna.
 
Avevo allora, aprile 1945, otto anni compiuti il dicembre precedente e abitavamo nel blocco case popolari di Ravenna in via Fiume (allora ultime case confinanti con i campi, con begli alberi da frutta e contadini pericolosissimi e maneschi se ci prendevano), Ma non più nel "nostro" bilocale che ci aveva ospitato dal 1937 al 1944 e che avevamo lasciato per seguire il "nostro" Duce o, detto meglio, per  il trasferimento di mio padre dalla Romagna alla sede operativa di quella che era stata chiamata la RSI (repubblica sociale italiana). In effetti il "nostro" (o meglio i locali dei quali in tutti quei mesi di assenza mio padre aveva pagato l'affitto, trattenuto dallo stipendio o paga che dir si voglia) mini appartamento era stato occupato da un qualche vicino che aveva ritenuto che anche mio padre fosse finito come i suoi colleghi, in un qualche bosco del trevigiano a miglior gloria d'Italia e poterlo quindi OCCUPARE (succedeva anche allora). Così ci ospitò una vicina, la donna di quel Calderoni di cui ho già parlato e che in spirito suonava e suona tuttora il suo malinconico e allegro violino. Eravamo in totale due donne adulte, la Valda e la Natalina, e quattro figli (2+2) Aldo, Lia, Benito e Italo a cui si era aggiunto uno nuovo, Ivan, ormai sui quasi 2 anni.
 
La Natalina infatti si era immediatamente data da fare e, volutamente o no, aveva optato per qualche sistemazione più vicina al nuovo, come spiega il nome dall'aria se non sovietica, di certo russa. Il suo uomo era un simpatico pezzo d'uomo che ufficialmente collaborava allo sminamento nella periferia di Ravenna e ufficiosamente vendeva gli esplosivi e accessori vari recuperati durante il lavoro alle cave per i loro impieghi di produzione. In queste operazioni era inciampato in un incidente e aveva perso una gamba, a partire dalla coscia, e così si era dedicato anche ad altro non sempre con buona fortuna. C'era infatti all'epoca un ottimo mercato di medicinali e prodotti da farmacia che richiedeva opportuni adempimenti per rifornirsi e purtroppo lui e amici  eran stati scoperti e così anche lui, FERRI, era vicino di cella nella stessa galera di Ravenna dove mio padre era ancora tenuto per qualche settimana a meditare sulle sue scelte di vita.
 
Ma tornando al titolo, qual era il mio contatto con L'UNITA'? Il collegamento era la domenica, ogni domenica: di prima mattina affidavano a me e ad altri ( io ero il più piccolo) un pacco di giornali, cioè L'UNITA', e poi andavo a consegnarli lungo la stessa via Fiume suonando tutti i campanelli, cedendo la copia e incassando i soldini (compravano tutti!). Finito il giro tornavo in sezione, consegnavo i soldini e mi davano un buono per andare la sera della domenica alla Casa del Popolo dove c'era musica e ballo. Finito il giro dei giornali già di prima mattina poi mi aspettava il prete (eravamo fino a 4/5 ragazzini) per servire Messa. E anche qui non era poi tanto a gratis o a gloria del Signore, perché il prete a fine Messa ci dava il biglietto d'ingresso per le commedie, ai salesiani, per la domenica pomeriggio!
 
Ripensandoci, c'era molta fame di letture, di novità anche spontanee, ad esempio Aldo e i suoi amici avevano organizzato un teatro dei burattini prendendo i testi delle commedie goldoniane dalla enciclopedia dei ragazzi comprata già dal Calderoni (il padre della Lia, Aldo era arrivato prima e aveva un altro cognome). Nei miei ricordi eran spettacolini affollatissimi, integrati con scenette di Sganapino e Sandrone, e riempivamo tutta la cucinona e il terrazzino e il piccolo contributo di ognuno serviva per le merende, molte volte a base di cozze raccolte sulle sponde del Candiano, il canale che da Ravenna porta al mare o con fette di zucca al forno, se sentivamo il richiamo del carrettino.

Ma torniamo all'articolo tratto da Il Venerdì di Repubblica del 18 luglio alle pp 56/57 con l'intervista a Emanuele Macaluso che fin dalle prime battute esprime un giudizio controcorrente al giorno d'oggi, rivalutando l'influenza di Togliatti a mio parere molto suggestiva: "Dobbiamo essere il Corriere della Sera della classe operaia", nel senso che certo doveva contenere le opinioni e le linee politiche, ma doveva essere anche un luogo di acculturamento ma anche aperto agli interessi "normali" garantendo così una tiratura media di 300 mila copie che salivano anche a UN MILIONE per il Primo Maggio. Poi si sa come vanno le cose in Italia, passato un po' di tempo si avvicina il momento del ricambio, i "vecchi" che magari venivano dall'esilio o dalla Resistenza (nel senso che non l'avevano raccontata ma vissuta concretamente) dovevano venire prima o poi sostituiti e arriva il momento degli intellettuali di mestiere (sembrerà strano ma Rinascita, che io adolescente neofascista leggevo abitualmente, tirava anche 100 mila copie e se qualcuno ne trova qualche copia sa che mattoni di articoli) e in questo noi italici siamo speciali nel distillare le parole in modo che il povero cristo non capisce più niente. Ecco io l'Unità la compravo per capire cosa pensavano i NEMICI, ma anche per leggere Fortebraccio quando scriveva di Lor Signori, poi diventò tutto più difficile, più complicato, nella foia di far fuori i vecchi arriva il via libera agli STAINO e simili, ma quelle cose lì le leggevo su Candido o, se proprio proprio, su Il Borghese con Gianna Preda.

Pensieri nostalgici, pensieri di bandiera, pensieri di un Italia fatta di proletari non ancora imborghesiti non tanto negli stili di vita quanto nei desideri non poi tanto inconsci, come ai tempi del Perdinotti felice frequentatore di salotti bene e di battaglie concluse con le sconfitte.

SCUSATE, era solo un TO REMEMBER, come ancora capita ai vecchi non ancora del tutto rimbambiti.

















 

venerdì 27 giugno 2014

GIORNI D'ESTATE

  

Giorno d'estate, giorni felici infelici sereni... giorni. Appunto GIORNI che qualcuno ci ha donato volente o anche casualmente. Oggi, ad esempio, me lo VOGLIO immaginare 


SUBLIME.   Domani è festa importante, San Pietro e Paolo, il santo dei dubbi, delle paure e delle incertezze e poi del laborioso e paziente fare quotidiano, tanto da meritarsi quel "su questa pietra" costruito ovviamente dopo dagli esegeti. 

Unito a lui il nome del convertito, ovviamente a causa di un trauma, di una illuminazione miracolosa, solo così può giustificare a sé e agli altri la solita irruenza usata all'incontrario e con la stessa determinazione necessaria.


Poi c'è il tempo necessario a vestirsi con pantaloni, scarponi, ottima (nel senso che protegge dal caldo e dal freddo) camicia di flanella a colori intonati, la casacchina adatta a prevedere un qualche acquazzone sempre probabile sopratttutto in queste verdi vallate dell'Alpe di Siusi, così ordinate, quasi pettinate. Quel che colpisce, neanche una banale cicca di sigarette, cicche così ben presenti e inconfondibili ovunque da noi italici. Nei tempi andati almeno non avevano il filtro e dopo un po' scomparivano e adesso son lì a ricordarmelo (ancora ogni tanto m'arrischio a farmi sgridare e me ne compro un pacchetto, sempre le solite MS morbide, da fumare di nascosto).

E sono fortunato, proprio nei prati che circondano lo SCHLUNHOF che mi ospita c'è qualcuno che si dondola nell'ALTALENA, no non è questo imbronciato cagnotto solitario e imbragato, son le tre figliolette dai 6 ai 14 anni, biondissime, snellissime che fra un aiuto e l'altro nell'accudire l'esterno con ramazza e innaffiatoio trovano il tempo di giocare come tutti i bambini (e pampine) del mondo, forse con qualche capriccio evidente in meno per non disturbare noi ospiti (a parte quando si mettono al calcio-balilla che allora qualche strillo agonistico per fortuna arriva). 

E per fortuna MADRE NATURA prevale anche per loro come con questo operoso signore


che studia la MATERIA che lo circonda e contemporaneamente provvede a ricostituire le sue riserve di cibo, dandoci anche una mano a mantenere pulito l'ambiente. Problemino complesso anche perché molti dei contenuti che a noi interessano sono necessariamente e opportunamente protetti, peccato però che ciò che protegge sia molto meno deperibile del contenuto e gli infiniti frantumi che noi diffondiamo all'intorno non possono venire lavorati da questi che noi chiamiamo con altezzosa sufficienza STERCORARI.

E ancora per fortuna, la giornata, appunto per fortuna, continua e c'è tempo abbondante per il paio di chilometri per arrivare al paese e rifornirsi di giornali, fare due chiacchiere sui dintorni, salutare qualche omologo coetaneo impegnando così quel tanto di tempo utile per arrivare al momento del ritorno. Ritorno tanto più gradito perché comincia a farsi sentire il sole e quindi il desiderio di ombra e  


di REFRIGERIO, come questo simpatico e quasi disperato signore qui a fianco che rischia la bronchite, per soddisfare le necessità del suo fotografo.



Per me la situazione non è così tragica per fortuna, però tornare al coperto aiuta e ... poi ci sono i fatti ancora da leggere, commentare con se stessi e, perché no, riportare con ironia (son sempre presuntuoso!) su FB in attesa che qualche compiacente amico metta il suo MI PIACE e qualcuno dei miei ex-studenti più che cinquantenni venga a farmi qualche sberleffo in nome di slogan diversi, senza cattiveria, ma solo con lo stile con il quale ci rapportavamo quando loro avevano attorno ai 15 anni e i miei eran tanti di meno.

Pazienza e per fortuna, ma ormai è tempo di chiudere, anch'io sono arrivato al momento della LICENZA...


anche se  alla fine io ormai più NON TOCCO   

e  allora     saluto con commossa malinconia

TUTTI VOI che per CASO  o per CUROSITA'

di qui passate e....                


 COSI' SIA!



VIVA L'ESTATE & LA COMPAGNIA


giovedì 19 giugno 2014

1955. MATURITA'




 Lo scrivente, cappellone a sinistra. Con abbondanti ORECCHIE. IV E


L’ultimo anno, anche e soprattutto allora, era dedicato alla messa a punto dei singoli e dell’insieme. La maturità era una cosa impegnativa, anche se gli argomenti erano quelli dell’ultimo anno con i riferimenti degli anni precedenti. Qualcosa era stato già ammorbidito rispetto a qualche tempo prima, però gli orali vertevano su tutte le materie, con commissione completamente esterna più il commissario interno in veste ovvia di avvocato difensore che doveva però dare l’impressione di saggia imparzialità. L’unico vero addolcimento era che mentre prima si portavano gli interi programmi degli ultimi tre anni, adesso erano gli interi programmi di tutte le materie SOLO dell’ultimo con gli ovvi riferimenti agli anni precedenti.

Per alcune materie, lettere, storia, latino, matematica, fisica, ma anche storia dell’architettura e francese, significavano (i riferimenti) pressochè gli interi programmi anche se poi ci si affidava al buonsenso della corte e all’abilità del commissario interno.

Da notare poi che eravamo le prime classi a concludere un percorso scolastico cominciato in situazione di normalità. Quando eravamo partiti nel 1950 gli odori della guerra, delle distruzioni, delle piccole, si fa per dire, "ferocie" da dopoguerra erano quasi ricordi consolidati o sulla strada di diventarlo. Le conseguenze  personali delle adesioni politiche e degli schieramenti erano ormai chiare, una buona parte aveva cambiato colore alla camicia conservando luogo di lavoro e spesso anche grado e funzione non solo nell’impiego privato ma anche in quello pubblico (l’amnistia Togliatti risolse parecchio.e chi, come mio padre, lavorava in corpi dello stato scomparsi e non aveva l’età per essere assorbito nei nuovi corpi di polizia o dell’esercito si era in qualche modo trovato una sistemazione magari passando da un lavoro impiegatizio a uno di tipo operaio.

Chiaro che non avendo una preparazione tecnica adeguata il ruolo non poteva che essere quello di manovale. E magari ci fosse, sempre, quel lavoro!

Ritornando poi al clima dell’ultimo anno, non eravamo solo noi sotto esame ma anche i nostri prof e in particolare quello che oggi si direbbe di materie letterarie, il prof Suadi, per molti motivi legati all’importanza che l’insieme delle sue materie rappresentava nell’ambito della riforma Gentile, ma anche perchè la sua cattedra, cioè le ore di insegnamento e di lavoro suo proprio, era tutta nella nostra classe.

Così ripulitura e consiglio di rivedere il latino, già semplificato per lo scritto dal (latino) e non in (latino), il chè significava una iniezione di lezioni private perché praticamente avevo campato di rendita sulla buona base ricevuta nelle medie inferiori in Seminario. Lo scritto di latino non era così preoccupante, ma la traduzione a vista dell’orale non poteva basarsi sui suggerimenti del dizionario o sui messaggi vari dei compagni. Naturalmente significava che nell’amministrare il salario di mio padre, mia madre doveva trovare una nicchia di disponibilità pari al 5/10 % del totale, magari incrementato con una giusta dose di ore straordinarie. Di questo te ne rendi conto solo anni dopo e neanche allora non pienamente.

Comunque nell’insieme l’esame andò, anche lo scritto di matematica, materia a me non ostica ma ero inciampato in una amnesia pericolosissima, fu portato a compimento grazie all’aiuto di una compagna che aveva messo gli appunti sotto l’elastico che teneva le calze (le ragazze, saggiamente, avevano deciso di sembrare delle donne, e a 18/19 anni non era poi così difficile neppure allora). Giuro che non mi ricordo come fosse il supporto di quegli appunti.

Lo scritto di architettura, che comprendeva anche una specie di disegno-ricopiatura del particolare fornito dal ministero, poteva essere solo uno dei tre:  romanico, gotico, barocco. Captato il collocamento del particolare, al resto pensavano i rotolini sviluppati sotto gli occhi attenti della commissaria appoggiata al mio banco (ero sempre nella prima fila), che ovviamente controllava attentamente ... quelli dietro di me.

Agli orali frana paurosa in francese e in scienze, onesta difesa nelle altre, brillante in storia e pure filosofia. In storia, forse perchè il mio accento non era pienamente triestino (e poi mi chiamo Benito!) il giovane commissario mi sottopose un problema non certo nel programma: il destino di Trieste se la guerra fosse andata in modo diverso. Io, senza barare ma con convinzione, sostenni che sarebbe passata sotto l’influenza germanica e così gran parte dell’Istria. Naturalmente blah, blah rientrava in una politica di sbocco sull’Adriatico etc. etc. Complimenti, accompagno all’uscita dall’aula, stretta di mano.

E un miserabile 7, unico in una marea di 6. In effetti io mi aspettavo il rinvio a settembre in francese e scienze però voti brillanti in storia, filosofia e sopra il 6 almeno in matematica. Siamo strani noi studenti, anzichè notare il passaggio in prima battuta, mi diedero fastidio altre cose, però non è così ingiustificato, almeno così avrei capito e dimostrato di eccellere da qualche parte e invece… Invece come mi disse il prof Suadi, promozione, gli altri voti al 6, il 7 in storia perchè il commissario mi aveva difeso, anzi si era risentito della richiesta.

Il mio ego in qualche modo fu soddisfatto e quando 10/15 anni dopo toccò a me fare il commissario interno compresi di essere stato trattato con giustizia. E poi, diciamo la verità, io ero campato di rendita grazie alla ricerca individuale sulla rivoluzione francese e il Robespierre (con il forte aiuto del Michelet e del meraviglioso prof. Lonza brillante e umano segretario socialista in Trieste), fondamenta che prima o poi mi avrebbero riportato sul sentiero giusto dopo la sbornia giovanile repubblichina, ma delle altre cose, come il Congresso di Vienna, le guerre coloniali e tutte quelle balordaggini lì io sapevo ben poco. Quello che sapevo, per letture personali sul fascismo e il suo fondatore non era certo spendibile allora. Per fortuna anche mia.

E adesso? Adesso un senso di vuoto, di pavimenti traballanti, un futuro incognito che non trovava aiuto in esperienze o tradizioni familiari , anzi toccava a me costruire quelle tradizioni, incombenza poco gradevole che cominciò a far crescere quel fondo anarcoide e vagamente antisistema che amavo far risalire al misterioso nonno anarchico, morto nel 1926, e di cui avevo trovato tracce nei quotidiani triestini dell’epoca.

NB: ho ritrovato sul web il testo e lo sviluppo della prova scritta di MATEMATICA. 
Non ci ho capito niente,  UN NUOVO GRAZIE alla TITTI e alla sua idea di essersi messe le calze, invece dei soliti calzettoni come usava allora anche a 18/19 anni e dovevano essere splendide ...

venerdì 13 giugno 2014

nel 2015 saran già SETTANTA...

Si avvicinava la fine dell'AVVENTURA, eppure non lo sapevano, bambino poco più di otto anni mi mescolavo con loro la sera nel punto di incontro per la cena nei locali della piccola quasi caserma della Legione Ravenna in quel di Bussolengo, anni 1944/45. Eran partiti INSIEME da Ravenna i più vecchi, pur sempre sotto i 40, e i più giovani, alcuni neppure 18 anni e questi ultimi equamente distribuiti fra maschi e femmine. Era una delle novità di questi ultimi anni del fascismo del 1922 e nuovissimi mesi del fascismo cosiddetto repubblicano, quello di Salò per intenderci, che aveva visto il formarsi e il consolidarsi di una presenza femminile in armi in funzioni nettamente militari o, comunque, di polizia.

Nei ricordi l'atmosfera era rilassata, sì ogni tanto qualcuno intonava le classiche e rituali canzoni da divisa, ma lo si faceva sopratutto per convincere Calderoni a tirar fuori il violino e via a darci dentro di mazurka, ed ecco  così anche allora ricordarmi  la casa di mia nonna di Romagna e quando si copriva di asse (plurale dialettale di "assa" che significa semplicemente una tavola di legno buono e buona a tutti gli usi) la vascona della legna a fianco del camino per far posto ai tre suonatori armati di fisarmonica, violino e roba da bocca. E spesso e ogni tanto il "gagio" Calderoni scivolava su roba malinconica, robe che magari le aveva imparate girando dopo il '40 per quei posti della slavonia, poi quell'allegria riprendeva subito e Calderoni mi prendeva sulle ginocchia, chissà magari ripensava alla sua LIA di solo qualche anno più grande di me ma rimasta a Ravenna con quella matta della Natalina, la sua donna. 

Già la LIA, così strana per una romagnola con quei capelli tra il biondo e il rosso (e i miei occhi adoranti nei miei 15 anni), anche se poi a ben pensarci persino mia madre aveva gli occhi chiari chiari e i capelli più rossi che castani forse ricordi raccolti nei secoli da antenate pronte a incontrare qualcuno di quei tanti calati dal nord est e nord ovest in cerca di nuovo e, diciamo noi presuntuosi, di civiltà.

Ebbero molto da ridere una sera quando sbucò  dalla zona cucina il mio fratellino (ovviamente Italo tanto per cambiare e in ricordo di un certo Balbo che gratificava l'ambiente tutto sommato non troppo in linea della Romagna e anche di un certo BOLDRINI piuttosto imprevedibile e che era pur stato uno dei loro capi manipolo), con in bocca una sigarettona accesa e piantata dentro un pipina di legno e splendidamente fumante, sigaretta rubata probabilmente a mia madre accanita fumatrice di MILIT, madre che ovviamente intervenne a proteggere il suo piccolo e bellissimo ultimo nato (1940), prima che soffocasse aspirando troppo.

Ma inevitabilmente  scendevano di tanto in tanto i silenzi e le inquietudini assieme al DESIDERIO di normalità e li sentivo allora cominciare a parlare di armi segrete, di cose risolutive che l'aprile vicino avrebbe portato ed era un SOGNO che era condiviso da tutte le parti in gioco, anche se ovviamente con soluzioni diverse ed opposte. 

Ma ormai cinque anni di guerre e di un futuro mai razionalmente prevedibile avevano lasciato il segno e così l'inevitabile alla fine arrivò. Durante il giorno capitava a mia madre di andare con un cavalletto e noi due piccoli da Bussolengo verso l'Adige (il compito assegnatole era bloccare la strada in caso di bombardamenti con danni), circondato da campi e da pace silenziosa, solo che a ritmi sempre più serrati passavano le "fortezze volanti" alleate a bombardare Verona e le linee di comunicazione verso il Brennero. Così arrivò anche il giorno finale e il CIELO di Bussolengo si riempì di aerei e nella cittadina passò l'ordine della resa, da ogni finestra, da ogni balcone dovevano apparire le lenzuola bianche della resa e anche mia madre dovette così rassegnarsi, la convinsero quelli che ci ospitavano, era veramente finita.

Intanto passavano i carriaggi che andavano a Nord, gli ordinati tedeschi lasciavano l'Italia ogni tanto con qualche piccola diversione tipo questa: la popolazione aveva invaso i magazzini dell'esercito a fare incetta di qualsiasi cosa potesse essere cibo, ricordo che per settimane mangiammo fette di patate secche e rammollite in acqua e anche una miscela di zucchero e sale raccolta a lato di sacchi rotti ci fece compagnia per più di qualche mese a colazione, accompagnando quelle patate rammollite e conserve di frutta. 

E fu anche così che per alcuni colleghi di mio padre che si erano prestati a dare un qualche ordine alla vicenda (non per bloccare ma per far sì che tutti potessero approfittarne impedendo eccessi utili solo ad accumulare roba per il mercato nero)  ci fu una classica motocarrozzetta tedesca che arrivò forse per caso e sbrigativamente risolse la questione, stendendo con il mitra proprio quei tre militi in divisa in volontario servizio d'ordine.

Per fortuna mio padre non c'era, mia madre gli aveva "ordinato" di prendere la bicicletta e tornare a Ravenna e consegnarsi direttamente al comando partigiano, visto che noi venivamo di là e, nella sua ingenuità, gli aveva anche affidato  tutti i risparmi (25 mila lire in buoni di guerra). E in effetti mio padre obbediente come sempre eseguì e se la cavò anche ragionevolmente con  qualche sberla, perse solo le 25 mila lire e si fece un po' di mesi chiuso in galera in affollata compagnia. Mia madre poi seppe evidentemente intercedere con il comandante tanto che si preoccupò di sistemare il sottoscritto, pieno di sfortune fisiche, in un collegio a Villa San Martino di Lugo dove crescere e studiare e trovò pure lavoro per mio padre, etc etc. (poi si trasferirono dai fratelli di mio padre a Trieste, ma questa è un 'altra storia).

Andò peggio per i colleghi e le colleghe di mio padre, erano venuti a prelevarli a Bussolengo con un paio di camion partiti da Ravenna, ma a Ravenna non arrivarono mai, li fermarono a riposarsi per sempre.




Questo post fa parte di un gioco di scrittura tra blogger su parole scelte a turno dai partecipanti. Parole e partecipanti li potete trovare sul blog "Verba Ludica", al link:   http://carbonaridellaparola.blogspot.it/ 

venerdì 30 maggio 2014

A volte basta un po' di SALIVA...


E parto da lontano, da quando da vicino a Cagliari sono andato in provincia di Sassari, in un paese che di nome fa SORSO anche se la zona vien chiamata PLATAMONA a ridosso delle dune che tengono al suo posto il mare che spesso vorrebbe riprendersi il suo spazio litigando con la pineta intanto cresciuta.

E' chiaro che il miniappartamento è rinchiuso all'interno di un villaggio di circa 40 anni fa e che oggi non potrebbe essere costruito nello stesso luogo quasi sul mare, tant'è la legge allora consentiva e io mi ci trovo bene, anche se Luglio e Agosto son piuttosto affollati ma restano dieci mesi di pura tranquillità. Però i villaggi hanno un inconveniente, ci sono cancelli in entrata e in uscita e un unico posto per la posta così da poter ricevere notizie consuete dall'ENEL, la RAI, magari anche dal Comune o Equiqualcosa o la Posta o la Banca perché tutti gli altri te li ritrovi o qui o sul telefono più o meno -ino.

Capita allora che mi debbo attrezzare di apposita cassetta e mi affascina una di quelle che imitano le regie poste della mia infanzia e che sembra pure di ghisa e la monto nell'unico buco rasoterra rimasto libero. Passano finalmente le settimane fino a farsi almeno tre mesi e qualcosa arriva, lo vedo in basso che c'è una busta solo che la chiave non apre e la chiave era giusta, c'è lo stesso numero. Pazienza, prendo la cassetta,la metto con i piedi per aria e finalmente la busta viene prelevata là da dove era entrata e risistemo alla meglio con quel che un fanatico pensionato fai da te dotato di un furgoncino ha sempre con sè.

E le cose van bene per mesi finché decido stamattina di sistemare il tutto "più meglio" sostituendo quel misero filo da piantine rachitiche con qualcosa di più robusto, un bel filo rivestito di buccia plastica verde che nessuno potrà più rompere e mi tiro dietro anche la pinza-tenaglia per tagliarlo a misura e via con l'auto per arrivare in zona e sistemare il tutto. E tutto procede, lo smontaggio è completato c'è solo un problema, la pinza non apre le sue robustine ganasce per tagliare il filo e la bomboletta moderna di svitoil è finita e si preannuncia un apri-chiudi troppo faticoso. Poi l'idea che torna dai ricordi lontani quando era abitudine lubrificare le mani callose con la saliva, anzi, lo sputo. E ha funzionato, la saliva nel punto di snodo, poi un po' di apri chiudi via via più veloce e di nuovo saliva e poi ottimale, proprio come serve per tagliare il filo a misura, infilarlo nei buchi dietro in modo che tutto stia in piedi e sia possibile metterla rovesciata e poter prelevare quel che c'è dentro. 

Intanto la radio dell'auto sintonizzata implacabile su RADIO RAI 3 raccontava del Convegno di Trento e dei discorsi solenni e delle ricette altrettanto elevate di gente che forse ne sa meno di me di cacciaviti e bulloni e di cassette e che di economia e soc-ciologia applicate altrettanto, specie di quelle che si raccontano tra loro, DOPO, dopo che il tutto è avvenuto. E ho ripensato alla mia preistorica saliva e alle sue proprietà sbloccanti e lubrificanti annidate nel profondo dei ricordi ricevuti durante le ore di lavoro in campagna e nei capanni in quei mesi estivi di quando lasciavo Trieste e andavo in Romagna da nonni, zii e cugini.

TORNIAMO AI FONDAMENTALI, DECIDIAMO ASSIEME IL TRAGUARDO E CONFIDIAMO NEL FUTURO, LO SPIRITO ANTICO CI ASSISTERA' NEL SOPPORTARE QUEL TANTO DI EGOISMO INEVITABILE PER RIPRENDERE UN CAMMINO CHE GIA' C'E' STATO.

venerdì 23 maggio 2014

gara dura, caro amico

La FRUSTATA arrivò improvvisa e imprevista e la sorpresa fu molto più forte del dolore, eppure avevo fatto tutto come dovuto, tornando quasi sull'aia con il carico di casse di quelle belle pesche gialle e sode, HALE le chiamavano. Tutte ben collocate nelle casse rientrando dal campo di Maduno in quel di San Pospero di Imola, avevo tenuto il passo come prescritto, specie nello scavallamento dell'argine del Santerno proprio dove il fiume si impigrisce e perde tempo in una specie di rotonda che avvolge quasi tutto il podere. Il guaio è che non m'ero accorto che le briglie di sana corda di canapa si erano girate tutto attorno alla coscia della mia gamba gigia di quindicenne cittadino e così appena il somaro provò a girare la testa con un brusco scrollare di collo  per cacciare il moscone che lo disturbava, allora la briglia pensò bene di  ferirgli l'angolo della bocca e così, spaventato, si era buttato al galoppo, galoppo che tra scossoni di casse traballanti si arrestò solo alla fine, quasi all'ingresso del PORTICO. 

Quel portico prospiciente la stalla dove forse cercava solo una sana sorsata d'acqua così da placare in qualche modo lo strappo del morso che lo costringeva all'obbedienza, e io intanto guardavo il segno sanguinante sulla soffice e grassoccia coscia di un ragazzotto di città, per di più seminaristino spretato, e per di più anche rientrato da quella Trieste che da poco più di un anno mi ospitava con i miei.   

Lo so bene che mi pensavano una specie di RIPIEGO e prima avevano provato a collaudarmi per raccogliere le pesche, e di lì tutta una storia perché dovevano avere il giusto grado di maturazione, ma non troppo, e anche di colore mi raccomando, si compra con gli occhi, e nonostante quelli sul campo avessero deciso così, a mio zio Arcangelo, detto Canzì (l'accento deciso sulla "i"), non andava e aveva scosso la testa e lui il mercato lo conosceva bene e sapeva bene come dovevano essere quelle pesche per meritarsi 80 lire al chilo (e 2000 quintali era un bel lavorare e guadagnare). 

E me l'avevano ben suggerito anche quelle toste spose che mi prendevano in giro per i miei sguardi incerti e curiosi che nascevano anche dagli ormoni, quegli ormoni che, a mia insaputa o quasi, lavoravano sodo. Ma sode erano anche loro, così ben coperte dai fazzolettoni per evitare quel caldo colorito da contadine che le avrebbe marcate evidenti andando in città al mercato. In compenso ogni tanto dovevano pur asciugarsi il sudore del sole agostano e il fazzoletto che scendeva anche nello scollo scopriva allora carni sode e ben mobili quando il braccio s'alzava sui rami più alti. E se il colore era protetto, non altrettanto protette le ascelle con quei bei cespugli neri neri che solo anni dopo sarebbero stati proditoriamente sconfitti dalla CERETTA.

Va provata quella carnalità che aleggia intorno, condita dal sole, dal chiacchiericcio irridente e non troppo leggero di donne che sanno quel che significa la fisicità del vivere e ricordano non solo nel pensiero com'è nell'adolescenza l'effetto delle parole sull'ancora sconosciuto e misterioso divenire del crescere.

Già quel crescere... E così ti ritrovavi con dei blocchi muscolari, chiamiamoli così, provocati dall'accrescere imprevisto di parti quasi sconosciute e spesso incontrollate che ti modificano il muoversi tanto che quasi classificherei  come appartenenti a una sindrome da DISTONIA, per fortuna transitoria, così transitoria che in tarda età quasi scompare tanto da non ricordarsela quasi!  




NB: DISTONIA è termine lontano dalle mie conoscenze specifiche e culturali, è stato mediato da varie informazioni, come anche questa.



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venerdì 25 aprile 2014

esplosione di...PRIMAVERA


Improvvisa la primavera è esplosa, mi giro e guardo e sono tutti vestiti come prima, ma è come fossero diversi, specie le ragazze, comprese le mie quasi coetanee. 

Del resto solo un continentale come me non s'era accorto che le temperature di Cagliari e pure quelle di Sassari non sono confrontabili con Bologna o Brescia e qui l'inverno, per fortuna, non significa cappottoni.  


E non è solo quello, non sono i miei occhi e, alla mia età, nemmeno gli ormoni, eppure nell'aria c'è qualcosa che fa buon gioco al sentire diverso all'intorno.



Poi una strana e quasi nostalgica associazione d'idee... non troverò più NEBBIA quando, sempre se, vado in continente e persino il mio simpatico VW Caddy, classe 2004 e km 344.218, andrà in MOTO subito subito, al primo colpo.





Povero vecchio Caddy, potrà credere di essere ancora proprio come un ragazzino a 16 anni appena compiuti  che si diverte come un matto a dare manetta al suo motorino appena comprato.


E tornando a quel senso di primavera e che qualcosa stia cambiando lo dimostra persino la MONACA della casa per anziani qui vicino, è come se le sue sottane fossero di meno e meno pesanti,  e magari nel suo misterioso sotto si è alleggerita, tanto che cammina più vispa e con lo sguardo quasi svagato. 

E mi ha pure appena sorriso proprio mentre recuperavo una quasi caduta per un inciampo nella solita buca del solito marciapiede che, naturalmente, è ancora lì come l'ha lasciata il vecchio sindaco. Del resto quello lì mica l'avevo votato, almeno io. 

Farò una petizione al nuovo quello eletto da poco. 

Però..., si ci vuole un però a ben pensarci, io non ho votato neppure il sindaco di adesso, ero già residente nel sassarese e quindi con che diritto reclamare, mica possono pagare i miei comodi con le tasse dei residenti!


Mi sa che ci vorrà una legge apposita: quando uno entra in un comune deve pagare una gabella, come nel medio evo, proprio per ripagare i residenti del consumo di cose e servizi che si utilizzano. 

Ma e la mobilità o la libertà di movimento? Alla prossima visita sul blog del GRILLO sottoporrò la questione e vedrete che troveranno la soluzione. In fondo è una democrazia diretta, anche se non ho ancora capito da chi.


Ma adesso siamo seri, manca poco a MEZZOGIORNO, l'ora legale ormai l'ho di già ben digerita e quel residuo di LARDO invernale che ho messo a cucinare con i pomodori rossi rossi (non di barattolo) sarà ben cotto e potrò così abbandonarmi tranquillamente alle sue sovrabbondanti calorie, visto che l'inverno è  solo appena finito, e poi, parlandone in confidenza fra amici almeno di mouse, 

che vita sarebbe una vita solo a verdurine e pastina in bianco?




AVVISO ai NAVIGANTI:

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