venerdì 27 dicembre 2013

MDMA

Era giusto poco più di un anno fa, anzi un po' di più, l'anno scolastico era cominciato da poco e il prof Benito, di nuovo un po' più di 11 anni dalla andata in pensione, era tornato nella sua vecchia scuola. Vecchia per lui che ci aveva passato quasi venticinque anni (dopo i primi dieci nella antica sede di via Castiglione) ma ancora splendida con quelle aule ampie, i corridoi capaci di contenere le decine di ragazzi e, soprattutto, ragazze fra un turno di laboratorio e l'altro (già perché quello era l'ultimo piano, quello dei chimici, e li avevano messi lassù proprio perché evitassero di impestare tutto lo storico Istituto Aldini-Valeriani di Bologna con i loro effluvi sulfurei).

Alcuni degli ex-colleghi e un paio di ex-studenti diventati incaricati gli avevano fatto festa, quasi una rimpatriata conclusa giù al bar del pianterreno, persino con un passaggio del preside rosso di pelo e di tessera (la scuola era allora di proprietà comunale) e dalla memoria feroce e dalla stretta di mano fin troppo stritolante. Poi i saluti e l'uscita.

L'uscita...? Chissà cos'era successo, un'improvvisa amnesia, la ricerca di angoli sedimentati in qualche luogo della memoria, fatto sta che il prof Benito s'era trovato come perso in quei corridoi  che davano accesso ai tanti e diversi reparti e laboratori. Gli accadeva anche un tempo, con quei corridoi tutti uguali e anche gli infissi tutti dello stesso colore, fosse il reparto tipografi o i muratori  (preferivano il termine "edili"). Poi, casualità o voglia di passato, si trovò a salire fino al terzo piano ed era stata la cadenza claudicante delle sue gambe a rompere il silenzio  e impedire il formarsi del senso di solitudine che di solito quegli ambienti vuoti comportano.

E poi fu tutto un susseguirsi di stimoli, gli venne in mente che al tempo che fu lui, il prof Benito, teneva nascosta la chiave d'accesso allo sgabuzzo dei bidelli  e da lì poteva entrare nei vari laboratori come un gioco facile, facile. E fu proprio così, secondo la consueta sequenza: armadietto con tutte le chiavi sempre aperto, con in basso zucchero, caffè e riserva per la "correzione" e poi sopra e in ordine le chiavi del lato destro e ritorno dal sinistro. Come per caso scelse le chiavi del lab di sintesi organiche industriali e vide che anche la sequenza dei vari ambienti era rimasta la stessa, prima la zona sintesi con i reattorini in vetro da tre litri con agitatori meccanici e riflusso e bagno d'olio termostato per le lavorazioni a pressione atmosferica, poi la zona del vuoto per filtrare, concentrare fino ad essiccare etc. etc. Neanche tanto etc. etc., ostinato il prof Benito disordinato nella vita quotidiana (e negli amorazzi, dicevno le allieve) insisteva nel voler verificare stato di tutte le attrezzature e il necessario corredo bibliografico.  Già, c'era ancora il suo vecchio Merck Index, persino i volumi gialli dell'Enciclopedia di chimica applicata, con tutte le sostanze in bell'ordine alfabetico, e, ma che strano, anche il suo brogliaccio nel solito abituale disordine e con l'abituale impasto di appunti scolastici e di lista per la spesa al supermercato che, conteneva, strano, una sigla MDMA.

MDMA ... MetilenDiossiMetAnfetamina...Cristo, ma è l'ECTASY, son diventati mat... e improvviso arrivò il suono di una sirena d'allarme e così prof Benito si alzò di scatto, ruzzolando a terra perché nella foga del risveglio si era dimenticato che dal 1959 aveva solo una gamba e mezzo e non era la sirena, era la pentola a pressione con tutte le verdure e due ali di tacchino per la cena sua e della sua cagnolina!

Il resto? una felice illusione...


NB “Questo post fa parte di un gioco di scrittura tra blogger su parole scelte a turno dai partecipanti. 
Parole e partecipanti li potete trovare sul blog "Verba Ludica", al link  http://carbonaridellaparola.blogspot.it/ “  

domenica 22 dicembre 2013

e viene NATALE

Che strano, erano anni che non arrivavo a scrivere il post del NATALE.  E' come capitato rispondendo a un post di altri che la tastiera da sola ha cominciato a scrivere di qualcosa apparentemente lontano, tanto che la maggior parte degli attori di allora sono stati accompagnati al luogo dove si attende l'ultimo gaudio universale e qualche ricordo nei primi di novembre.

Sarà che qui dove sono da qualche anno la temperatura invernale è addolcita solo dal caminetto e qualche volenterosa stufa a bombola, come del resto accade spesso nell'Italia più a Sud o, appunto, nelle isole come questa splendida Sardegna. Dicevo sarà anche per questo che la memoria corre lontano nel tempo o, forse, perché i Natali dei bimbi sono più RICORDIOSI, quando tutto è una nuova sorpresa. E poi...

E poi eravamo tanti in quella via Lughese nro 35 di San Prospero di Imola della tribù dei CIARAVAL (da 20 a 25 membri) ancora all'inizio del 1940. C'ero anch'io, nonostante fossi il figlio di una delle femmine, la Valda (classe 1912), spedito lì da Ravenna a fare la prima elementare nel timore che nella città più grande prima o poi arrivassero i bombardamenti o forse perché non mi accorgessi che il babbo era partito assieme ad altri per l'avventura russa. Volontario, perché i colleghi che avevano fatto la Spagna eran stati tutti promossi di grado (e di paga)! Già la paga per i prediletti, a parole, del Duce prendevan 360 lire al mese e ne pagavano subito 120 per l'affitto di camera cucina nelle case popolari di via Fiume a Ravenna.

Ma torniamo ai giorni della vigilia e ai preliminari, come quando iniziò la mattanza dei maiali, uno per ognuna delle due case nelle quali la tribù dei Geminiani era divisa. Magroni destinati all'ingrasso e poi al sacrificio finale. Capo delle operazioni PRIMO, nato per secondo, al quale era affidato il coordinamento e la parte fondamentale, la sistemazione e scelta della carne. Il problema cominciava con la cattura perché prima della cattura erano messi in libertà per l'aia onde evitare addensamenti di sangue, solo che poi bisognava prenderli e quelli sapevan correre forte con rapide inversioni di marcia e grugniti.  Alla fine il primo viene "incantonato", e legato sulla spianatrice per il grande sacrificio, solo che evidentemente qualcuno si era emozionato e sul più bello era riuscito a divincolarsi e darsi al galoppo con il coltello piantato, male, nel collo. Ripreso, risdraiato e appeso a testa in giù per scolare tutto il sangue, prezioso componente del "burleng" (sanguinaccio, puro sangue versato su una base di "brazadèla" e poi ricotto al forno), e quindi la divisione via via nelle varie parti.

E noi bambini a correre di qua e là, semper in te mez di maròn, e Primo a tagliare e controllare. Le operazioni erano numerose e varie, separazione delle interiora e delle animelle, fegato, reni per le successive operazioni. Le interiora ripulite e preparate per la funzione di contenitori di salsiccie, salami e simili non appena fossero state selezionate le carni adatte e il giusto equilibrio magro e grasso. Ma ormai per noi il divertimento era concluso perché tutti avevano il loro da fare e presto sarebbe arrivato qualcosa di utile, la pié fréta, la pizza fritta nel grasso: bolle di pasta tipo pizza buttate nel grasso bollente per diventare delle bolle saporite e rigonfie e spesso condite con la "saba".

Ma e il PRESEPE? L'ALBERO?

Per il PRESEPE bastava e avanzava quello del PRETE, il Parroco don Montroni, e i miei eran romagnoli che andavano a Messa la domenica e le donne qualche spesso anche alla Messa delle 6 di mattina durante la settimana, se non c'erano lavori urgenti. Quanto all'ALBERO, arrivò dopo il '45, un po' striminzito con delle arance appese, frutto insolito nella Romagna dell'epoca e accompagnate a volte dai più facilmente spellabili mandarini ancora più preziosi.

E i bimbi, contenti lo stesso. Non sempre, è vero, avevo visto, Natale 1944, in una vetrina a Bussolengo dove eravamo con mio padre al seguito del suo Duce, un bellissimo cavallino con carrozza e pedaliera, ricordo ancora il prezzo, 9.000 lire ma nessuno l'ha mai saputo che mi piaceva!



venerdì 13 dicembre 2013

DIVERGENZE

Steso sul quel residuo di divano, tutto avviluppato nella logora vestaglia a parziale surrogato della stufetta a gas ormai spenta (doveva ancora pagare la bombola precedente) si girò e con voce carica d'odio esplose: TANGHERO A CHI?

Ma amore, ti prego, non ho detto "tanghero", ero come immersa in un ricordo, un ricordo in cui eravamo giovani giovani, avevamo come sempre bisticciato e mi ero buttata quasi con violenza fra le braccia di quel bel TANGUERO che tanto ti aveva ingelosito. 

E feci bene, caro il mio gelosone...

Mi strappasti via e per due giorni tu fosti tutto e solo per me, ignorando lavoro e moglie!