venerdì 7 marzo 2014

1914. CENTO ANNI FA. NONNO AUGUSTO NON LO SA





Ma dovrà presto tornare a casa, al momento era tranquillo nella sua Trieste, con la moglie Teresa, la figlia acquisita assieme alla moglie Eugenia e i figli che letti nel giusto ordine esprimono il suo sentire di ribaldo carattere romagnolo, Giordano, Bruno e Hugo. Anagraficamente non era propriamente così, visto che mio padre, Bruno, arriva nel 1907, due anni dopo Hugo (all'anagrafe triestina non è chiaro se la H c'era), e dopo altri due scarsi il terzo, Giordano.

Augusto, nomen omen, era di famiglia perbene di Dozza Imolese, il padre, che poi sarebbe il mio bisnonno, aveva quella che oggi si direbbe una agenzia di servizi. Nel mondo d'allora le distanze e le comunicazioni erano piuttosto diverse, diciamo che il cavallo di San Francesco (a piedoni) impiegava oltre un paio d'ore anche camminando per sentieri e cavedagne, anche se di solito ci si appoggiava con un somaro perché andare al mercato (di solito di Imola) spesso significava merci in andata (polli, uova, primizie) e merci in ritorno (sementi, sale e pezze di stoffa e poco altro). Il somaro poteva essere attrezzato con un biroccio, e allora bisognava meglio selezionare le strade. Poi c'erano quelli del borgo che, pochi, usufruivano del cavallo con il biroccino (a due ruote) più o meno sprint a seconda dell'età e del censo.

Però nel mondo agricolo ogni tanto, spesso, c'erano cose da sistemare a livello patrimoniale ed ecco che Cremonini fungeva da intermediario per notai, eredi, acquisti, vendite e assistenza in genere. Con gli occhi di oggi la vallata è un rifugio di borghesi benestani con ville ricche di parchi e tranquillità, anche allora era agricoltura buona, dalla via Emilia salendo lungo il Sellustra ma non si deve salire troppo perché poi diventa calanco, meraviglioso per l'occhio, meno per le gambe e la pancia. Ecco quindi l'habitat in cui Augusto era cresciuto, secondo dopo la sorella Maria, ma già con i sentori del nuovo e quindi non certo voglioso di un futuro tutto legge ordine e ufficio. La sorella, MARIA la BELIA  (tradotto, la LEVATRICE, figura importante nel mondo contadino), primogenita  seguirà strade molto più consuete.

Ma torniamo all'Augusto che non segue strade consuete e ben presto entra nell'industria, cioè nella produzione, facendo il CANAPINO e svincolandosi quindi dal mondo paterno. Ma anche nella produzione e lavorazione della canapa ci sono aspetti diversi e proprio a Imola c'era la trasformazione della canapa nei cordami pregiati, quelli destinati all'impiego marinaro e comunque in quei settori che poi utilizzeranno cavi di acciaio. Ancora oggi c'è chi ricorda che attorno alla "rocca" di Imola si lavoravano quelle che sarebbero diventati cordami e gomene (nei miei ricordi di seminarista a Imola, anni 1947-50, ci sono i cavalletti e le macchine nel prato della rocca a produrre lunghezze di molte decine di metri fino anche a qualche centinaio). Era un lavoro senza limiti di tempo e ben retribuito e lo dimostra il fatto che attorno a questi prati c'erano osterie in abbondanza e quei luoghi ospitali con signore e signorine disponibili (a pagamento) a regalare compagnia, luoghi che anche lo Stato Pontificio, quando ancora esisteva, tollerava con molto interesse.

Naturalmente assieme al lavoro, alla vita poco ordinaria e ordinata, c'erano altre tentazioni. Imola era terra di socialisti, l'amministrazione comunale era guidata dai socialisti, per non parlare di Andrea Costa e come sempre c'erano le due anime, quella rivoluzionaria e quella, diremmo oggi arruffando il nasino, socialdemocratica. Nonno Augusto, ovviamente, era tra i casinisti rivoluzionari fino al punto di avere una reputazione quasi anarcoide e il padre di lui fu consigliato di avvertire il figlio e nonno Augusto partì per la solita strada via mare e, partendo dalle valli di Comacchio, arrivò a Trieste allora in forte espansione e affamata di mano d'opera capace e sveglia. Poi il resto era ovvio, l'Impero austro-ungarico consentiva accoglienza e libertà di movimento al suo interno, perché ci pensava la sua gendarmeria a tenere sotto sorveglianza gli ospiti.

E così, come già visto nonno Augusto trasforma la sua vita fino a crearsi quella tribù già raccontata. Dicono quelli che l'han conosciuto che l'unica lingua che conosceva e usava era il dialetto romagnolo originario e ci pensava nonna Teresa a tenere il timone. E non esito a prenderlo per vero, conoscendo il carattere delle donne di là e la comodità di molti maschi di affidarsi e confidare nella forza e saggezza femminile, specie dopo avere provveduto all'arrivo della prole avendo cose ben più importanti e, soprattutto, più interessanti cui provvedere. 

Poi c'è Sarajevo, l'Italia con le sue velleità irredentiste e agli ospiti italiani della tribù Cremonini nell'estate1914 arrivò l'aut-aut: o l'invio nei lager o il ritorno in Italia e così nonno Augusto e tutti i suoi arrivarono a Imola ospiti della sorella MARIA la Belia che intanto aveva sposato un serio impiegato di Banca più spesso a Bologna che a Imola e non aveva figli propri e in sintonia con la cognata teneva in riga grandi e piccoli. 

Il resto è storia veloce, finì la guerra, i Cremonini tornarono a Trieste lasciando alla zia il più grande, Bruno mio padre, che, abitava, combinazione, confinante con il podere dove intanto era nata la Valda che, dopo tante vicissitudini, quasi vent'anni dopo sposò, anche perché la luna andava crescendo e pochi mesi dopo nasceva il Benito! 

MA QUESTA è un'altra storia.


2 commenti:

  1. Ma questo è un altro capitoletto??? :)))
    Forse sono antica, forse ho perso di vista la società attuale, ma i racconti come questi mi affascinano hanno il sapore di un tempo che non c'è più, oltre ad essere testimonianza storica di un periodo che i più, oramai, conoscono per averne letto sui libri.

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    1. no è la rielaborazione, e un po' riassunto. Comunque non suscita particolari emozioni, troppo lontano e sommerso. Ormai i reduci del 15/18 son morti da un po' e nella civiltà cittadina c'è altro. Eppure da quella tabula rasa che ha modificato o distrutto una intera generazione è partito di tutto in Europa e i nati a cavallo del 1915/1920 sono quelli del miracolo economico, avevano già vissuto in fabbrica, lasciavano l'agricoltura, avevano voglia di essere, rischiavano di sbagliare, ma ci provavano. Saluti.

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