Sia consentito a un miscredente parlare de L'Unità anche perché credo in qualche modo di averne titolo. Certo non ho mai nascosto la mia piccola storia politica, storia politica che comincia molto presto più o meno consapevolmente e la riprendo là dove l'avevo lasciata un qualche post fa, al ritorno da Bussolengo a Ravenna.
Avevo allora, aprile 1945, otto anni compiuti il dicembre precedente e abitavamo nel blocco case popolari di Ravenna in via Fiume (allora ultime case confinanti con i campi, con begli alberi da frutta e contadini pericolosissimi e maneschi se ci prendevano), Ma non più nel "nostro" bilocale che ci aveva ospitato dal 1937 al 1944 e che avevamo lasciato per seguire il "nostro" Duce o, detto meglio, per il trasferimento di mio padre dalla Romagna alla sede operativa di quella che era stata chiamata la RSI (repubblica sociale italiana). In effetti il "nostro" (o meglio i locali dei quali in tutti quei mesi di assenza mio padre aveva pagato l'affitto, trattenuto dallo stipendio o paga che dir si voglia) mini appartamento era stato occupato da un qualche vicino che aveva ritenuto che anche mio padre fosse finito come i suoi colleghi, in un qualche bosco del trevigiano a miglior gloria d'Italia e poterlo quindi OCCUPARE (succedeva anche allora). Così ci ospitò una vicina, la donna di quel Calderoni di cui ho già parlato e che in spirito suonava e suona tuttora il suo malinconico e allegro violino. Eravamo in totale due donne adulte, la Valda e la Natalina, e quattro figli (2+2) Aldo, Lia, Benito e Italo a cui si era aggiunto uno nuovo, Ivan, ormai sui quasi 2 anni.
La Natalina infatti si era immediatamente data da fare e, volutamente o no, aveva optato per qualche sistemazione più vicina al nuovo, come spiega il nome dall'aria se non sovietica, di certo russa. Il suo uomo era un simpatico pezzo d'uomo che ufficialmente collaborava allo sminamento nella periferia di Ravenna e ufficiosamente vendeva gli esplosivi e accessori vari recuperati durante il lavoro alle cave per i loro impieghi di produzione. In queste operazioni era inciampato in un incidente e aveva perso una gamba, a partire dalla coscia, e così si era dedicato anche ad altro non sempre con buona fortuna. C'era infatti all'epoca un ottimo mercato di medicinali e prodotti da farmacia che richiedeva opportuni adempimenti per rifornirsi e purtroppo lui e amici eran stati scoperti e così anche lui, FERRI, era vicino di cella nella stessa galera di Ravenna dove mio padre era ancora tenuto per qualche settimana a meditare sulle sue scelte di vita.
Ma tornando al titolo, qual era il mio contatto con L'UNITA'? Il collegamento era la domenica, ogni domenica: di prima mattina affidavano a me e ad altri ( io ero il più piccolo) un pacco di giornali, cioè L'UNITA', e poi andavo a consegnarli lungo la stessa via Fiume suonando tutti i campanelli, cedendo la copia e incassando i soldini (compravano tutti!). Finito il giro tornavo in sezione, consegnavo i soldini e mi davano un buono per andare la sera della domenica alla Casa del Popolo dove c'era musica e ballo. Finito il giro dei giornali già di prima mattina poi mi aspettava il prete (eravamo fino a 4/5 ragazzini) per servire Messa. E anche qui non era poi tanto a gratis o a gloria del Signore, perché il prete a fine Messa ci dava il biglietto d'ingresso per le commedie, ai salesiani, per la domenica pomeriggio!
Ripensandoci, c'era molta fame di letture, di novità anche spontanee, ad esempio Aldo e i suoi amici avevano organizzato un teatro dei burattini prendendo i testi delle commedie goldoniane dalla enciclopedia dei ragazzi comprata già dal Calderoni (il padre della Lia, Aldo era arrivato prima e aveva un altro cognome). Nei miei ricordi eran spettacolini affollatissimi, integrati con scenette di Sganapino e Sandrone, e riempivamo tutta la cucinona e il terrazzino e il piccolo contributo di ognuno serviva per le merende, molte volte a base di cozze raccolte sulle sponde del Candiano, il canale che da Ravenna porta al mare o con fette di zucca al forno, se sentivamo il richiamo del carrettino.
Ma torniamo all'articolo tratto da Il Venerdì di Repubblica del 18 luglio alle pp 56/57 con l'intervista a Emanuele Macaluso che fin dalle prime battute esprime un giudizio controcorrente al giorno d'oggi, rivalutando l'influenza di Togliatti a mio parere molto suggestiva: "Dobbiamo essere il Corriere della Sera della classe operaia", nel senso che certo doveva contenere le opinioni e le linee politiche, ma doveva essere anche un luogo di acculturamento ma anche aperto agli interessi "normali" garantendo così una tiratura media di 300 mila copie che salivano anche a UN MILIONE per il Primo Maggio. Poi si sa come vanno le cose in Italia, passato un po' di tempo si avvicina il momento del ricambio, i "vecchi" che magari venivano dall'esilio o dalla Resistenza (nel senso che non l'avevano raccontata ma vissuta concretamente) dovevano venire prima o poi sostituiti e arriva il momento degli intellettuali di mestiere (sembrerà strano ma Rinascita, che io adolescente neofascista leggevo abitualmente, tirava anche 100 mila copie e se qualcuno ne trova qualche copia sa che mattoni di articoli) e in questo noi italici siamo speciali nel distillare le parole in modo che il povero cristo non capisce più niente. Ecco io l'Unità la compravo per capire cosa pensavano i NEMICI, ma anche per leggere Fortebraccio quando scriveva di Lor Signori, poi diventò tutto più difficile, più complicato, nella foia di far fuori i vecchi arriva il via libera agli STAINO e simili, ma quelle cose lì le leggevo su Candido o, se proprio proprio, su Il Borghese con Gianna Preda.
Pensieri nostalgici, pensieri di bandiera, pensieri di un Italia fatta di proletari non ancora imborghesiti non tanto negli stili di vita quanto nei desideri non poi tanto inconsci, come ai tempi del Perdinotti felice frequentatore di salotti bene e di battaglie concluse con le sconfitte.
SCUSATE, era solo un TO REMEMBER, come ancora capita ai vecchi non ancora del tutto rimbambiti.
Ma torniamo all'articolo tratto da Il Venerdì di Repubblica del 18 luglio alle pp 56/57 con l'intervista a Emanuele Macaluso che fin dalle prime battute esprime un giudizio controcorrente al giorno d'oggi, rivalutando l'influenza di Togliatti a mio parere molto suggestiva: "Dobbiamo essere il Corriere della Sera della classe operaia", nel senso che certo doveva contenere le opinioni e le linee politiche, ma doveva essere anche un luogo di acculturamento ma anche aperto agli interessi "normali" garantendo così una tiratura media di 300 mila copie che salivano anche a UN MILIONE per il Primo Maggio. Poi si sa come vanno le cose in Italia, passato un po' di tempo si avvicina il momento del ricambio, i "vecchi" che magari venivano dall'esilio o dalla Resistenza (nel senso che non l'avevano raccontata ma vissuta concretamente) dovevano venire prima o poi sostituiti e arriva il momento degli intellettuali di mestiere (sembrerà strano ma Rinascita, che io adolescente neofascista leggevo abitualmente, tirava anche 100 mila copie e se qualcuno ne trova qualche copia sa che mattoni di articoli) e in questo noi italici siamo speciali nel distillare le parole in modo che il povero cristo non capisce più niente. Ecco io l'Unità la compravo per capire cosa pensavano i NEMICI, ma anche per leggere Fortebraccio quando scriveva di Lor Signori, poi diventò tutto più difficile, più complicato, nella foia di far fuori i vecchi arriva il via libera agli STAINO e simili, ma quelle cose lì le leggevo su Candido o, se proprio proprio, su Il Borghese con Gianna Preda.
Pensieri nostalgici, pensieri di bandiera, pensieri di un Italia fatta di proletari non ancora imborghesiti non tanto negli stili di vita quanto nei desideri non poi tanto inconsci, come ai tempi del Perdinotti felice frequentatore di salotti bene e di battaglie concluse con le sconfitte.
SCUSATE, era solo un TO REMEMBER, come ancora capita ai vecchi non ancora del tutto rimbambiti.
Ecco, io Rinascita me la ricordo... erano gli ultimi fuochi del giornale evidentemente, e mi sa che dovrei ancora averne qualche copia in soffitta, insieme alla domenica del corriere di mio padre e a qualche copia de la riscossa di mio nonno :)
RispondiEliminaA casa mia il percorso politico è stato differente
nonno socialista autentico
padre prima comunista e poi, dopo i fatti d'ungheria, democristiano
figlia illusa, sì illusa e basta. :)))
no, non è questo che importa, mi affascina di più quella vita di periferia, ragazzino curioso di tutto e la mescolanza di partito e messa di quel lontano 1945. Grazie e la tua è una esperienza di buona e onesta borghesia, forse ormai introvabile.
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