venerdì 17 febbraio 2012

E finalmente si può cominciare

sul serio. Già e allora qual era lo scopo di questo miniblog? Voleva essere il racconto dei tanti "delitti" di cui uno si rende colpevole in una vita. Delitto inteso in senso puramente tecnico, cioé qualsiasi comportamento che altri, pochi o molti che siano e che giudichino in modo unilaterale o universale, ritengono non consono.

E inizio così da un primo piccolo esempio, uno dei più lontani nel tempo ed é decisamente lontano,  addirittura nel 1945. E allora avanti, cominciamo pure.

Per chi non è vecchio come me il 1945 è lontanissimo, perso nella notte della retorica e delle prevenzioni ma per me é l'altro ieri e tanto vale ambientare bene il contesto, così diverso dalle esperienze attuali di bravi ragazzi.

Dopo il tempo della RSI (detta familiarmente SALO') si era tornati nella originaria Ravenna in quell'appartamentino delle case popolari di Via Fiume 16 (sul numero non giuro). Praticamente un bilocale con terrazzino, nel senso che c'era quel che oggi si chiamerebbe soggiorno con spazio cucina, un cesso e una camera da letto (genitori e fratellino). Nel soggiorno una "ottomana" (lì ci dormivo io), oggi diremmo divano letto, e uno spazio cucina, con fornello a carbone e "scafa", cioè quello che oggi cjiaremmo lavello e niente di più (o di meno). Naturalmente un tavolo con seggiole proprio di fronte alla finestrona-porta prospiciente il terrazzo che dava sulla via Fiume. Dimenticavo, c'era anche un grande cortile che collegava tutte le case e che conteneva anche singoli orti divisi per appartamento. Orti che comprendevano anche, volendo, qualche pollo o coniglio nelle loro stie. Consuetudine che, in tempo di guerra e dopoguerra non era consigliabile perché si lavorava per altri

Allora questa via di ricordi dannunziani era alla fine dell'abitato, da lì si andava immediatamente nei campi e poi, a 5/6 chilometri, porto Corsini, magari costeggiando il Candiano allora ancora libero da ANIC, ENI e tutti gli altri ingombri che il progresso porterà.

Venendo da Bussolengo, dove la minitribù era sfollata per seguire il suo Duce, c'era da completare il terz'anno delle elementari ed arrivavamo noi residui e sconfitti per chiudere un anno scolastico che, allora, si sarebbe concluso con un esamino. La via Fiume per me che avevo vissuto quasi rinserrato dal '43 al '45 era una fonte infinita di incontri, di scambi e di sorprese. Tornato da scuola, fatti velocemente i compiti, era tutto per me, naturalmente rispettando gerarchie e rapporti di forza, nel senso che a poco più di otto anni, piccolo, mingherlino e pure zoppetto il mio ruolo era affidato al capo di turno, ma sono sempre stato un fedele servitore della Patria, quella grande PATRIA che era il cortile.

Fu così che un mio compagno arrivò a scuola con uno splendido medaglione con Dante Alighieri e facemmo uno SCAMBIO. Non ricordo cosa io diedi, di certo piccola cosa, non certo denaro (non usava allora), forse una figurina, ma non ne avevo mai collezionato, qualsiasi cosa fosse quando tornai a casa e mostrai alla VALDA, mia madre, il mio orgoglioso possedimento mi presi una sonora lezione di sberle, perché quelle cose lì non le decidono i bambini e che NON FARLO MAI PIU'.

OBBEDII!

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