Si avvicinava la fine dell'AVVENTURA, eppure non lo sapevano, bambino poco più di otto anni mi mescolavo con loro la sera nel punto di incontro per la cena nei locali della piccola quasi caserma della Legione Ravenna in quel di Bussolengo, anni 1944/45. Eran partiti INSIEME da Ravenna i più vecchi, pur sempre sotto i 40, e i più giovani, alcuni neppure 18 anni e questi ultimi equamente distribuiti fra maschi e femmine. Era una delle novità di questi ultimi anni del fascismo del 1922 e nuovissimi mesi del fascismo cosiddetto repubblicano, quello di Salò per intenderci, che aveva visto il formarsi e il consolidarsi di una presenza femminile in armi in funzioni nettamente militari o, comunque, di polizia.
Nei ricordi l'atmosfera era rilassata, sì ogni tanto qualcuno intonava le classiche e rituali canzoni da divisa, ma lo si faceva sopratutto per convincere Calderoni a tirar fuori il violino e via a darci dentro di mazurka, ed ecco così anche allora ricordarmi la casa di mia nonna di Romagna e quando si copriva di asse (plurale dialettale di "assa" che significa semplicemente una tavola di legno buono e buona a tutti gli usi) la vascona della legna a fianco del camino per far posto ai tre suonatori armati di fisarmonica, violino e roba da bocca. E spesso e ogni tanto il "gagio" Calderoni scivolava su roba malinconica, robe che magari le aveva imparate girando dopo il '40 per quei posti della slavonia, poi quell'allegria riprendeva subito e Calderoni mi prendeva sulle ginocchia, chissà magari ripensava alla sua LIA di solo qualche anno più grande di me ma rimasta a Ravenna con quella matta della Natalina, la sua donna.
Già la LIA, così strana per una romagnola con quei capelli tra il biondo e il rosso (e i miei occhi adoranti nei miei 15 anni), anche se poi a ben pensarci persino mia madre aveva gli occhi chiari chiari e i capelli più rossi che castani forse ricordi raccolti nei secoli da antenate pronte a incontrare qualcuno di quei tanti calati dal nord est e nord ovest in cerca di nuovo e, diciamo noi presuntuosi, di civiltà.
Già la LIA, così strana per una romagnola con quei capelli tra il biondo e il rosso (e i miei occhi adoranti nei miei 15 anni), anche se poi a ben pensarci persino mia madre aveva gli occhi chiari chiari e i capelli più rossi che castani forse ricordi raccolti nei secoli da antenate pronte a incontrare qualcuno di quei tanti calati dal nord est e nord ovest in cerca di nuovo e, diciamo noi presuntuosi, di civiltà.
Ebbero molto da ridere una sera quando sbucò dalla zona cucina il mio fratellino (ovviamente Italo tanto per cambiare e in ricordo di un certo Balbo che gratificava l'ambiente tutto sommato non troppo in linea della Romagna e anche di un certo BOLDRINI piuttosto imprevedibile e che era pur stato uno dei loro capi manipolo), con in bocca una sigarettona accesa e piantata dentro un pipina di legno e splendidamente fumante, sigaretta rubata probabilmente a mia madre accanita fumatrice di MILIT, madre che ovviamente intervenne a proteggere il suo piccolo e bellissimo ultimo nato (1940), prima che soffocasse aspirando troppo.
Ma inevitabilmente scendevano di tanto in tanto i silenzi e le inquietudini assieme al DESIDERIO di normalità e li sentivo allora cominciare a parlare di armi segrete, di cose risolutive che l'aprile vicino avrebbe portato ed era un SOGNO che era condiviso da tutte le parti in gioco, anche se ovviamente con soluzioni diverse ed opposte.
Ma ormai cinque anni di guerre e di un futuro mai razionalmente prevedibile avevano lasciato il segno e così l'inevitabile alla fine arrivò. Durante il giorno capitava a mia madre di andare con un cavalletto e noi due piccoli da Bussolengo verso l'Adige (il compito assegnatole era bloccare la strada in caso di bombardamenti con danni), circondato da campi e da pace silenziosa, solo che a ritmi sempre più serrati passavano le "fortezze volanti" alleate a bombardare Verona e le linee di comunicazione verso il Brennero. Così arrivò anche il giorno finale e il CIELO di Bussolengo si riempì di aerei e nella cittadina passò l'ordine della resa, da ogni finestra, da ogni balcone dovevano apparire le lenzuola bianche della resa e anche mia madre dovette così rassegnarsi, la convinsero quelli che ci ospitavano, era veramente finita.
Ma ormai cinque anni di guerre e di un futuro mai razionalmente prevedibile avevano lasciato il segno e così l'inevitabile alla fine arrivò. Durante il giorno capitava a mia madre di andare con un cavalletto e noi due piccoli da Bussolengo verso l'Adige (il compito assegnatole era bloccare la strada in caso di bombardamenti con danni), circondato da campi e da pace silenziosa, solo che a ritmi sempre più serrati passavano le "fortezze volanti" alleate a bombardare Verona e le linee di comunicazione verso il Brennero. Così arrivò anche il giorno finale e il CIELO di Bussolengo si riempì di aerei e nella cittadina passò l'ordine della resa, da ogni finestra, da ogni balcone dovevano apparire le lenzuola bianche della resa e anche mia madre dovette così rassegnarsi, la convinsero quelli che ci ospitavano, era veramente finita.
Intanto passavano i carriaggi che andavano a Nord, gli ordinati tedeschi lasciavano l'Italia ogni tanto con qualche piccola diversione tipo questa: la popolazione aveva invaso i magazzini dell'esercito a fare incetta di qualsiasi cosa potesse essere cibo, ricordo che per settimane mangiammo fette di patate secche e rammollite in acqua e anche una miscela di zucchero e sale raccolta a lato di sacchi rotti ci fece compagnia per più di qualche mese a colazione, accompagnando quelle patate rammollite e conserve di frutta.
E fu anche così che per alcuni colleghi di mio padre che si erano prestati a dare un qualche ordine alla vicenda (non per bloccare ma per far sì che tutti potessero approfittarne impedendo eccessi utili solo ad accumulare roba per il mercato nero) ci fu una classica motocarrozzetta tedesca che arrivò forse per caso e sbrigativamente risolse la questione, stendendo con il mitra proprio quei tre militi in divisa in volontario servizio d'ordine.
E fu anche così che per alcuni colleghi di mio padre che si erano prestati a dare un qualche ordine alla vicenda (non per bloccare ma per far sì che tutti potessero approfittarne impedendo eccessi utili solo ad accumulare roba per il mercato nero) ci fu una classica motocarrozzetta tedesca che arrivò forse per caso e sbrigativamente risolse la questione, stendendo con il mitra proprio quei tre militi in divisa in volontario servizio d'ordine.
Per fortuna mio padre non c'era, mia madre gli aveva "ordinato" di prendere la bicicletta e tornare a Ravenna e consegnarsi direttamente al comando partigiano, visto che noi venivamo di là e, nella sua ingenuità, gli aveva anche affidato tutti i risparmi (25 mila lire in buoni di guerra). E in effetti mio padre obbediente come sempre eseguì e se la cavò anche ragionevolmente con qualche sberla, perse solo le 25 mila lire e si fece un po' di mesi chiuso in galera in affollata compagnia. Mia madre poi seppe evidentemente intercedere con il comandante tanto che si preoccupò di sistemare il sottoscritto, pieno di sfortune fisiche, in un collegio a Villa San Martino di Lugo dove crescere e studiare e trovò pure lavoro per mio padre, etc etc. (poi si trasferirono dai fratelli di mio padre a Trieste, ma questa è un 'altra storia).
Andò peggio per i colleghi e le colleghe di mio padre, erano venuti a prelevarli a Bussolengo con un paio di camion partiti da Ravenna, ma a Ravenna non arrivarono mai, li fermarono a riposarsi per sempre.
Questo post fa parte di un gioco di scrittura tra blogger su parole scelte a turno dai partecipanti. Parole e partecipanti li potete trovare sul blog "Verba Ludica", al link: http://carbonaridellaparola.blogspot.it/
Post articolato e dettagliato che racconta uno spaccato importante della nostra Storia. Quasi un trattato di Storia del Paese.
RispondiEliminaMi è grato il tuo commento proprio perché il testo può apparire fin troppo di parte. La vita mi ha portato da meno che adolescente di conoscere storie e dolori di entrambe le parti.
RispondiEliminaBen, tu devi ASSOLUTAMENTE terminare quel lavoro, è una testimonianza importante oltre che un bel racconto ironico :)
RispondiEliminaDai Ben, datti da fare!! :)
... a me questo post piace tantissimo, per quel che vale la mia opinione :)
Il gioco ti ha dato l'opportunità di raccontare un pezzo di vita e di storia. Molto interessante davvero! :)
RispondiEliminaE' "limitativo" che tu tenga questo documento qui, con rispetto parlando alla visibilità della piattaforma, andrebbe ascritta questa storia (volevo dire eroi - ma poi Arrigo Boldrini mi fa ancora ragionare... ma quali eroi?) per riferire di coinvolgimenti diretti da utilizzare anche a Monito a chi ornai confida solo nell'anacronismo.
RispondiEliminaItalo Balbo, me lo ricordavo Balbo, gli "studi giovani" ci fecero passare e ripassare anche su lui, e su quel periodo che invece non aveva nemmeno sfiorato la mia generazione. Ma con chi teneva come voi a trasmettere già repentinamente memoria. Grazie, Kreben ! Grazie
Raymond
Raymond sono i ricordi di un bimbo che è diventato adolescente, che è vissuto solo fra i 14 e i 23 anni in famiglia e a Trieste, che solo a 21 anni ha saputo di foibe e camere a gas e le ultime per caso in una serie di film proiettata tramite l'associazione studenti (CUC) dell'Università di Trieste. Che dei 3 cremonini (mio padre e 2 fratelli) uno era nei lager in Germania tornato fortunatamente a casa e poi coinvolto nelle beghe fra Tito e Stalin. Sono vissuto ai confini delle 2 parti, mio padre alla fine era un semplice manovale che ha lavorato sodo per la sua famiglia e tramite lui e i suoi simili mi ha permesso di conoscere bene, oneri onori sorrisi e pianti (e a Trieste più sorrisi che pianti) di cosa è essere figli di operai. Forse ho sofferto gioito e sorriso e sperato con loro e ho avuto difficoltà con la cosiddetta piccola borghesia e grande simpatia da e con la grande borghesia triestina (quella di ufficiali di marina mercantile, dirigenti di assicurazioni e banche, qualche prof universitario che conoscevo tramite l'ambiente cattolico della FUCI triestina). E una volta a Bologna ho capito che il PCI non mangiava i bambini, ma era il PCI rientrato in Italia nel 1945 e non cresciuto nelle sagrestie di partito. La scuola dove ho insegnato per 38 anni è (era) una scuola di alta specializzazione tecnica a livello medio superiore pagata e sostenuta dalla municipalità bolognese che ha fortemente contribuito alla preparazione e allo sviluppo dell'economia locale da più di 150 anni. E' un breve scorcio di vita che ti matura proprio perché cammini al limite e di errori personali ne fai tanti ma impari a chiederti i perché e i percome. E io ringrazio voi per la curiosità e la simpatia. PS: a proposito Trieste ha (o aveva) una splendida comunità ebraica, 2 miei prof erano di loro, la nostra classe (sez. E Liceo Oberdan 1950/55) era "fascista", due meravigliosi giovani prof che mi hanno insegnato a leggere e un pochino a scrivere.
EliminaQuanta speranza e voglia emerge in quel momento risaputo che furono gli anni dove le possibilità non solo venivano contemplate ma soprattutto ben sfruttate. Sicuramente lungimiranti, come l'agricolo che coltivava la propria azienda non a regola d'arte, ma addirittura "da buon padre di famiglia". Quindi avete dato tanto, e qualcuno finalmente ce la racconta bene, al di là di ideali più o meno stereotipati. Siete stati utili, anzi lo siete ancora. Raymond
RispondiElimina