domenica 13 maggio 2018

MIO PADRE...ricordi di GUERRA ... 5. Si torna in POCHI.

Ormai tutto sembrava concluso, la partita era chiusa, quelli con la camicia di colore nero avevano perso, i vincitori stranieri erano arrivati a sostituire quegli altri stranieri che erano tornati a casa loro, si parlava dell' arrivo di quegli italiani che da tempo si erano impegnati contro i perdenti e quindi rappresentavano la NUOVA ITALIA. In effetti correvano delle voci contrastanti che parlavano dell' arrivo di un gruppo partigiano dal ravennate al comando di un certo BULOW impegnato nella cattura degli avanzi militari e no della R.S.I. e che stava rastrellando tutto il territorio. Altri invece dicevano che era in atto una specie di tregua e si invitava i perdenti a consegnarsi ai sindaci dei territori man mano liberati.

Fu così che mia madre, forse anche dopo i suggerimenti dell' ufficiale italo-americano ospite vicino a noi, "ordinò" a mio padre di mettersi in borghese, prendere la bicicletta e andarsi a consegnare al comando partigiano di Ravenna. In fondo erano circa 200 km di strade basse non coinvolte e passando per il basso veneto e il basso ferrarese, arrivando a Ravenna attraverso le valli 15/20 ore di pedalata non era certo impossibile a non ancora 40 anni. E poi già mio padre aveva fatto centinaia di km durante il ritiro dalla Russia (con i camion tedeschi, che non volevano fra i piedi gli italiani) e quasi sempre a piedi e quindi aveva l'esperienza e il giusto buon senso anche per questa avventura.

L' unico vero errore di mia madre fu di affidare a mio padre i "valori" consistenti in quel po' di ori tradizionali di famiglia e, soprattutto, le cartelle dei prestiti di guerra, unico vero tesoro.  Alla fine mio padre arrivò a Ravenna, si consegnò al Comando Partigiano insediato, pagò non ufficialmente il giusto pegno (la bicicletta e i "valori"), si prese anche il giusto complimento dai vincitori senza particolari inconvenienti a parte un po' di lividi qua e là. Comunque fu rinchiuso e i lividi in qualche settimana scomparvero.

Non furono così fortunati i suoi compagni, anzi, scusate, i suoi CAMERATI. Erano infatti arrivati alcuni Pullman proprio dalle Romagne (proprio come si diceva) e presero in carico gli ausiliari e le ausiliarie, tutte persone che a Ravenna e dintorni non arrivarono mai. Inevitabile conclusione di quella che era stata non solo guerra di liberazione ma anche guerra civile con tutti gli eccessi largamente raccontati. Stranezza vuole che a capo di questa "raccolta dati" ci fosse una persona ben nota fra i futuri condannati, per il semplice motivo che era stato uno dei loro e di grado elevato. Almeno così raccontarono alcuni dei sopravvissuti..

Di certo c' è quello che è stato ufficialmente rilevato e che va sotto il nome di eccidio di Codevigo e fra di loro (136) c'era anche il CALDERONI LUIGI anni 50 GNR ...

Poi per fortuna il tempo cammina e da bambino il  mio ricordo più vivido di Bussolengo fu una vetrina del Natale precedente, 1944, con un calesse in miniatura (si fa per dire, nel senso a misura di bimbo, nel sedile ci saremmo stati in due seduti) trainato da un somarello tutto agghindato, comprese le sonagliere e con una pedaliera per farlo muovere.

Ma torniamo al vissuto quotidiano, tornati a Ravenna l' appartamento "nostro" delle case popolari di via Fiume era stato occupato da altri, il mio amichetto ADOLFO adesso si chiamava PINO, mentre c'era ancora la TIZIANA, la calzettaia (nel senso che in casa "produceva" tessuti a maglia di ogni tipo grazie ad un macchinario adatto e una notevole capacità professionale), e, importante, sua figlia un paio d'anni meno di me ma carina carina. 

Essendo senza casa ci ospitò la NATALINA, una amica di mia madre con due figli già grandi (ALDO e LIA) di padri diversi ma molto dinamica e attiva.  Il marito della Natalina era proprio il Calderoni e la LIA era sua figlia. E la Lia fu  anche il mio primo vero grande amore, avevo nemmeno 9 anni e lei 15/16, era sempre piena di amici con cui usciva anche la sera e tornava tardi... La rividi anni dopo, io avevo più di 20 anni, lei aveva due bimbi, era sempre la mia Lia che mi coccolava anche se c'era come una luce malinconica nei suoi occhi e si rannicchiò tutta contro di me e restammo così molti 10 minuti, chissà forse le avevo ricordato il violino e la voce di suo padre...

Ma la vita continuava, mia madre aveva stabilito un contatto con il comandante partigiano di Ravenna, decisero assieme che per il "mio bene" io sarei andato in collegio a Villa San Martino di Lugo, punto di raccolta di ragazzi "spaesati" di età fra poco più di sei e meno di 25 e di solito senza genitori. Evidentemente qualcosa s'erano detti e capiti quei due ufficialmente lontani per storia politica ma vicini nel vivere comune.

Mio  padre era stato dimesso e, anzi, sempre quel comandante gli aveva trovato un lavoro come sorvegliante notturno in una azienda, "armato"! A mia madre non piaceva l' idea, poteva essere pericoloso e prese contatto con Trieste, dove c'erano Hugo e Giordano (i fratelli più giovani) con le loro famiglie. Fu così che si prepararono al trasloco e a dare addio alla Romagna, affrontando una nuova vita dopo aver messo al sicuro il figliolo più grande, e fisicamente sfortunato, nel collegio dei trovatelli. E il Benito? Il Benito ne aveva di storie ancora da raccontare a cominciare ad esempio dalla Domenica.

Già, la domenica... Alle 8 avevo l' incarico di consegnare l' UNITA' in zona casa per casa (come compenso ingresso gratuito alle 17 alla Casa del Popolo con musica e ballo). Alle dieci servire la messa in Parrocchia, in 5 attorno all' altare, in cambio una buona merenda e il biglietto per il teatrino dei preti alle 15: c'era la commedia. Ma anche durante la settimana c'era da fare, ma il soggetto era mio padre.

E poi c'erano gli amici del cortile, ero stato promosso, adesso facevo parte della "guardia" che sovrintendeva all' ordine di ben due cortili, c'era un capo, il suo fratello "tonto" (era caduto su uno spigolo di marciapiede, s'era spaccato il cranio. C'erano tre cicatrici bianche, una specie di grande Y, i più vecchietti del cortile sostenevano che fosse SCEMO, dalla nascita.... 

MIO PADRE, anzi IL BABBO? ... Lo riincontrerò a quasi 14 anni, finite le elementari in collegio e tre anni in Seminario (perché  mi piaceva l' idea di fare il prete), sembra che mia madre avesse detto MEI MORT CHE PRITT...


4 commenti:

  1. Meglio morto che prete?? :D evidentemente conosceva bene il suo figliolo, grande casanova in erba :D
    Continua la saga del Ben :), trovo che hai raccpntato con molto tatto una delle pagine più buie della storia del nostro Paese.

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  2. ERA il passaggio più difficile ed ero tentato di riprendere anche il BOCCHE DI DONNE E DI FUCILI il romanzo del futuro onorevole PCI noto come ULISSE (Davide Lajolo) che descriveva come si divertiva a far esplodere le teste dei ROSSI in Spagna. Poi m' è sembrato che ai più giovane apparisse INUTILE e CATTIVO!

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  3. Mi piacciono i tuoi racconti. Mi piacciono molto. Ma te l'ho già detto, mi pare

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  4. grazie, in storia (e anche filosofia), sia pure nel contesto di un liceo "scientifico", non andavo malaccio tanto che alla maturità (1955) il prof esterno aprì una discussione sul destino di Trieste (dove allora vivevo) qualora avessero vinto i CATTIVI e io sostenni che se la sarebbero presa i TETESKY per l'importanza come sbocco verso oriente. E si vede che gli piacqui tanto che mi accompagnò all' uscita. Magari contribuii a recuperare i guai nello scritto. All' epoca su un protocollo mettevo si e no due punti finali per pagina. Mi insegnò a scrivere, molto dopo, un mio capetto d'azienda: la prima lettera commerciale me la fece cambiare 13/14 volte. Dovevo convincere uno a pagare senza perdere il cliente... Saluti.

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