giovedì 26 aprile 2018

Storia di un Chimico sub-normale 1.4 biennio

Per la prima volta entravo in una classe "normale", sembrerà strano ma ripensandoci le prime due classi elementari erano in un scuola classica di campagna, nell'andamento la maestra aveva autorità assoluta, i genitori erano riconoscenti e sapevano di agire nell' interesse dei propri figli. Spesso i genitori non erano abituati o capaci di scrivere in modo corretto e i rapporti con il mondo esterno erano quasi esclusivamente dettati da esigenze familiari o puramente commerciali. Per gli adulti  c'erano i locali adatti agli scambi sociali, l' osteria alla sera per gli amici e le partite a carte, la Parrocchia come punto d' incontro domenicale o il mercato per i polli o simili per arricchire "il portafoglio" in previsione di acquisti per le femmine e i bimbi piccoli.

Di solito le donne arrivate per matrimonio avevano la domenica mattina da dedicare alla famiglia originaria e in questo le biciclette erano fondamentali, anche per caricare il sellino porta piccolissimi e sempre che non fosse il loro turno per le preparazioni del pranzo domenicale e per il piatto serale (di solito lesso e contorno in piatti singoli a libera scelta  messi nella madia e disponibili mano uno arrivava, perché la domenica pomeriggio non c'erano obblighi di orario per nessuno/a).

Poi c'era stato il periodo di guerra a Bussolengo e lì mia madre aveva la gestione della mensa militare per il distaccamento dei militi ravennati trasferiti lì dopo il 25 luglio 1943 mentre gli impegni scolastici non esistevano se non per l'anno 45/46 e dopo ero in collegio fino alla fine della quinta. Poi la decisione per il Seminario e lì l'aula di lezione coincideva con il luogo di studio esclusivo senza contatti esterni. In fondo per me la "scuola" corrispondeva al luogo dove vivevo.

Arrivai presto il primo giorno e non ci volle molto per sapere quale fosse il luogo dedicato tanto che arrivai quasi per primo, traversai tutto l'ambiente e andò bene il primo banco a destra rispetto alla cattedra proprio sotto il finestrone laterali e il posto verso il corridoio interno così il mio piede destro e i suoi problemi di nascita venivano accontentati. Tutto ovviamente mi isolava, a Trieste allora (ma forse anche oggi dopo quasi 70 anni) la lingua parlata era il dialetto. Quel dialetto di origine veneta completamente atonale, senza cantilene che il vento avrebbe strapazzato  ma anche senza particolari idiotismi a parte il ricorrente "mona" qua e "mona" là.

Già, quel vocabolo mi colpiva e ancor più mi rendeva disturbato perché quando dopo qualche giorno cominciai a chiederne il significato ai meno indisponibili mi rispondevano sempre di chiederlo alla TITTI... Già, le ragazze... onestamente erano un genere per me sconosciuto, le mie cugine o avevano ormai almeno sei anni più di me o altrettanti meno di me. Chiederlo a mia madre non mi fidavo, anche lei era nuova a Trieste poi qualcosa mi rendeva prudente e la corrispondenza con la parte anatomica femminile di ugual nome scoprii poi che non c'entrava per niente. Chissà perché il corrispondente vocabolo romagnolo (pataca), anch' esso femminile, dovesse nei fatti significare imbecille, presuntuoso, stupido, contaballe e via dicendo. O forse nasce dai poveri maschietti e il loro timore-desiderio verso l' universo delle loro dominatrici-schiave.
Si arrivò comunque alle prime operazioni, come l' appello e la presentazione quindi di studenti e prof e fu qui che cominciò uno dei primi fraintendimenti, io ero Cremonini e il mio compagno di banco Pillinini, ma per il prof era il contrario, così un giorno che il Pillinini era assente il prof si arrabbiò perché io non mi alzavo o rispondevo al suo richiamo, fra i sogghigni dei compagni smaliziati e pronti a sottolineare i miei inghippi. Poi per fortuna arrivarono i giorni dei colloqui fra genitori e prof. e ci fu un incontro determinante fra il prof. Paoli, di lettere, e la Valda, mia madre, con il suo cappottino marroncino che messo al confronto con gli abbigliamenti disinvolti delle altre madri denunciava la sua, e mia, origine economica. Eppure fu mia madre a vincere il confronto raccontando le mie avventure fisiche e scolastiche a quell' onesto prof che voleva convincerla a spostarmi su altri tipi di scuole più adatti alle mie, modeste, doti e la miserabile situazione economica complessiva. Gli aggettivi sono miei ma rispecchiano e rispecchiavano la realtà.

Paoli era uno dei membri della componente ebraica della città di Trieste, un gruppo efficiente e intellettualmente capacissimo oltre che molto legato ai traffici economici con l' oriente d' Europa sia cristiano che islamico. Da sempre raccoglievano le necessità dell' Europa di lingua tedesca facendo da ponte efficiente ed economicamente molto capace, anche se gli esiti della guerra non li avevano favoriti e, soprattutto (ma lo capii anni dopo) era in atto una brutale concorrenza di Genova, assistita da importanti lobbie politiche. Fra l' altro la componente ebraica triestina era "nazionalista" in senso italico e aveva collaborato molto con il primo nazionalfascismo.

La cura del prof fu immediata, mi spiegò che c'era una "biblioteca civica" aperta a tutti e dove avrei trovato ampia accoglienza e mi diede un elenco di autori da cominciare a leggere (genere Palazzeschi e simili, suggerimenti del 1950!) e a lui dovevo rendere conto in brevi colloqui orali e poi mi mise sotto tutela di un suo studente di QUINTA che sarebbe venuto a casa mia per curare linguaggio e, soprattutto, scrittura. Il tutto senza costi per la mia famiglia. Il tutto accompagnato da suggerimenti per il corso di disegno e architettura, altro mio handicap, specie per i disegni dal vivo. Già non avevamo mai scoperto che io avevo una forte miopia da un solo occhio e mi mancava la tridimensionalità... Altri miei deficit si riveleranno molti anni dopo quando avrei dovuto utilizzare le mie riposte doti di maschio, ma allora ero già laureato...

E così cominciò la gara del biennio finito il quale la nostra sezione "E" doveva migrare nella succursale di San Nicolò in pieno centro, a due passi da via Parini, casa mia, e dalle "rive" con quel mare fascinoso.

Ne parleremo poi ...




3 commenti:

  1. dealma, sono imbranato, non ho superato il controllo da te, dicevo che preferisco lo zucchero senza caffè, solo per essere sicuro di un momento DOLCE... :)

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